IL
RAPPORTO DI GESÙ COL PADRE RIVELAZIONE DEL MISTERO TRINITARIO
1. Come abbiamo visto nella precedente catechesi, con le sue
parole e le sue opere Gesù intrattiene con "suo" Padre un rapporto
del tutto speciale. Il vangelo di Giovanni sottolinea che quanto egli
comunica agli uomini è frutto di questa unione intima e singolare: "Io e
il Padre siamo una cosa sola", (Gv 10, 30). E ancora: "Tutto quello
che il Padre possiede è mio" (Gv 16, 15). Esiste una reciprocità tra il
Padre e il Figlio, in quello che conoscono di se stessi (cfr Gv 10, 15), in
quello che sono (cfr Gv 14, 10), in quello che fanno (cfr Gv 5, 19; 10, 38) e
in quello che possiedono: "Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose
tue sono mie" (Gv 17, 10). É uno scambio reciproco che trova la sua
espressione piena nella gloria che Gesù consegue dal Padre nel mistero
supremo della morte e della risurrezione, dopo averla egli stesso procurata
al Padre durante la vita terrena: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il
Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te... Io ti ho glorificato sopra la
terra... E ora, Padre, glorificami davanti a te" (Gv 17, 1.4s.).
Questa unione essenziale con il Padre non solo accompagna l'attività di Gesù,
ma qualifica tutto il suo essere. "L'Incarnazione del Figlio di Dio
rivela che Dio è il Padre eterno e che il Figlio è consustanziale al Padre,
ciò che in lui e con lui è lo stesso unico Dio" (CCC, 262).
L'evangelista Giovanni mette in evidenza che proprio a questa pretesa divina
reagiscono i capi religiosi del popolo, non tollerando che egli chiami Dio
suo Padre e si faccia quindi uguale a Dio (Gv 5, 18; cfr 10, 33; 19, 7).
2. In forza di questa consonanza nell'essere e nell'agire,
sia con le parole che con le opere Gesù rivela il Padre: "Dio nessuno
1'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo
ha rivelato" (Gv 1, 18). La "predilezione" di cui Cristo gode
è proclamata nel suo battesimo secondo la narrazione dei Vangeli sinottici
(cfr Mc 1, 11; Mt 3, 17; Lc 3, 22). Essa è ricondotta dall'evangelista
Giovanni alla sua radice trinitaria, ossia alla misteriosa esistenza del
Verbo "presso" il Padre (Gv 1, 1), che nell'eternità lo ha
generato.
Partendo dal Figlio, la riflessione del Nuovo Testamento, e poi la teologia
in essa radicata, hanno approfondito il mistero della "paternità"
di Dio. I1 Padre è colui che nella vita trinitaria costituisce il principio
assoluto, colui che non ha origine e dal quale scaturisce la vita divina.
L'unità delle tre persone è condivisione dell'unica essenza divina, ma nel
dinamismo di reciproche relazioni che hanno nel Padre la sorgente e il
fondamento. "É il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito
Santo che procede" (Concilio Lateranense IV: DS, 804).
3. Di questo mistero che sorpassa infinitamente la nostra
intelligenza, 1'apostolo Giovanni ci offre una chiave, quando nella prima
lettera proclama: "Dio è amore" (1 Gv 4, 8). Questo vertice della
rivelazione indica che Dio è agape, ossia dono gratuito e totale di se, di
cui Cristo ci ha dato testimonianza specialmente con la sua morte in croce.
Nel sacrificio di Cristo, si rivela 1'infinito amore del Padre per il mondo
(cfr Gv 3, 16; Rm 5, 8). La capacità di amare infinitamente, donandosi senza
riserve e senza misura, è propria di Dio. In forza di questo suo essere
Amore, Egli, prima ancora della libera creazione del mondo, è Padre nella
stessa vita divina: Padre amante che genera il Figlio amato e da origine con
lui allo Spirito Santo, la Persona-Amore, reciproco vincolo di comunione.
Su questa base la fede cristiana comprende 1'uguaglianza delle tre persone
divine: il Figlio e lo Spirito sono uguali al Padre non come principi
autonomi, quasi fossero tre dei, ma in quanto ricevono dal Padre tutta la
vita divina, distinguendosi da lui e reciprocamente solo nella diversità
delle relazioni (cfr CCC, 254).
Mistero grande, mistero di amore, mistero ineffabile, di fronte al quale la
parola deve lasciare il posto al silenzio dello stupore e dell'adorazione.
Mistero divino che ci interpella e ci coinvolge, perché la partecipazione
alla vita trinitaria ci è stata offerta per grazia, attraverso 1'incarnazione
redentrice del Verbo e il dono dello Spirito Santo: "Se uno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui", (Gv 14, 23).
4. La reciprocità tra il Padre e il Figlio, diventa così per
noi credenti principio di vita nuova, che ci consente di partecipare alla
stessa pienezza della vita divina: "Chiunque riconosce che Gesù è il
Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" (1 Gv 4, 15). I1
dinamismo della vita trinitaria viene vissuto dalle creature, in modo tale
che tutto converge verso il Padre, mediante Gesù Cristo, nello Spirito Santo.
É quanto sottolinea il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Tutta la vita
cristiana è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo
separarle. Chi rende gloria al Padre lo fa per il Figlio nello Spirito
Santo" (n. 259). Il Figlio è divenuto "primogenito tra molti
fratelli" (Rm 8, 29); attraverso la sua morte il Padre ci ha rigenerati
(1 Pt 1, 3; cfr anche Rm 8, 32; Ef 1, 3), sicché nello Spirito Santo possiamo
invocarlo con lo stesso termine usato da Gesù: Abbà (Rm 8, 15; Gal 4, 6). San
Paolo illustra ulteriormente questo mistero, dicendo che "il Padre ci ha
messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. É lui infatti
che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del
suo Figlio diletto" (Col 1, 12-13). E l'Apocalisse cosi descrive la
sorte escatologica di colui che lotta e vince con Cristo la potenza del male:
"II vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho
vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono" (Ap 3, 21).
Questa promessa di Cristo ci apre una prospettiva meravigliosa di
partecipazione alla sua intimità celeste con il Padre.
Udienza generale, Mercoledì 10 marzo 1999
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