I Recchi, famiglia di pittori comaschi

Alberto Rovi

 

Grande fama hanno goduto i Recchi, pittori del Seicento che tenevano bottega nel Borgo Vico di Como, dove oggi hanno sede gli uffici dell’Amministrazione Provinciale, una fama che ha finito per oscurare i contemporanei pittori a loro affini per stile: i Caresana, il Ghianda, i Torriani, sottovalutati prima delle recenti scoperte di archivio.

Il più recente restauro di loro opere, prima di quello di Brunate, è quello degli affreschi comaschi di San Giuseppe in Valleggio, che resta un punto fermo nella storia pittorica di questa fortunata bottega, certamente almeno per quanto concerne la cappella dedicata a San Carlo che Maurizio Monti dichiarava firmata da Giovan Battista Recchi e datata 1626, firma e data oggi perdute. La testimonianza di Maurizio Monti merita completa fiducia, sia rispetto alla ditta, sia rispetto al nome di Giovan Battista, il capobottega, il più anziano, che sappiamo impegnato l’anno prima con Cristoforo Caresana al Duomo di Como: "Ł 100 … per pagare Cristofforo Caresana e Gio.Battista Rech pitore per la loro mercede, et spese fate intorno a l’organo". Forse nel gennaio 1626 Giovan Battista era stato impegnato con il capomastro Marzio Dotti di Piazza nel misurare l’ala settentrionale del Palazzo Volpi in costruzione. Delle sue competenze di architetto abbiamo notizia certa: nel 1638 progetta la ricostruzione della basilica di San Giorgio in Borgovico mantenendo sostanzialmente il perimetro della chiesa, il perimetro esterno dell’abside centrale e l’abside settentrionale trasformata in cappella, eliminando invece l’abside meridionale per costruire la sacrestia rifacendo i pilastri e fornendo un nuovo disegno per la facciata.

La storiografia ottocentesca ha esaltato soprattutto il ruolo di Giovan Paolo, divenuto famoso per gli affreschi nelle chiese piemontesi e soprattutto nei castelli dei Savoia con la collaborazione di Giovan Antonio Recchi, suo nipote e figlio del fratello maggiore Giovan Battista. Le fonti archivistiche hanno dagli anni ’80 restituito una serie di attribuzioni anche a Giovanni Battista. Il dato è significativo, anche se non risolve i complessi problemi attributivi della distinzione di una mano dall’altra di pittori che sapevano lavorare coordinatamente insieme, come ci indica la pala d’altare della chiesa di San Marco in Borgo Vico, ora alla Pinacoteca Civica di Como, datata 1640 e firmata da entrambi i fratelli. È probabile, proprio perché architetto, una propensione di Giovan Battista per l’inserimento di architetture nei quadri: del resto presentano precisi motivi architettonici i dipinti che fonti dirette o indirette gli attribuiscono, come la pala di Sant’Abbondio, con la scena ambientata all’interno del Duomo di Como, la pala al castello di Albosaggia, il dipinto prospettico della collezione Gallio nella Sacrestia dei Missionari nel Duomo di Como e il ciclo di Davide e Golia nel Vescovado, le tre tele della cappella Gallio al Gesù di Como. Tuttavia un importante ciclo di affreschi dove architetture e figure si compensano è attribuito in data antica sicuramente a Giovan Battista, distinguendolo dal vicino ciclo, ad olio su muro,andato perduto, del fratello Giovan Paolo, nel palazzo Lambertenghi di Como. Altri cicli di affreschi comaschi, tradizionalmente attribuiti ai Recchi, sono nel Palazzo Cernezzi, nel Palazzo Odescalchi di Piazza Roma già in parrocchia di San Provino.

Giovanni Paolo e Giovanni Antonio lavorarono attivamente negli importanti cantieri sabaudi e Sacri Monti, dopo il Morazzone e dopo Isidoro Bianchi, quasi si fossero passati il timone della pittura lombarda in terra piemontese.

I Recchi operarono diffusamente in Valtellina, nel Bergamasco, a Varese, sul Lario: da Moltrasio a Stazzona, a Colico, a Limonta.

In Como realizzarono le pale d’altare nelle chiese di San Giorgio, San Salvatore, San rocco, diversi dipinti per la Cappella del crocefisso all’Annunciata, ivi compreso il famoso quadro del miracolo delle catene.

Giovanni Battista realizzò il cartone per l’arazzo del Duomo della nascita della Vergine, che riprende esattamente il dipinto del Morazzone nella chiesa di Sant’Agostino di Como.

Non è facile distinguere le "mani" dei diversi pittori. La bottega utilizzò repertori figurativi che talora mostrano stanchezza. Ma tale ripetitività si giustifica in parte nella logica della committenza controriformista che imponeva scelte compositive codificate e limiti alla narrazione. Giampaolo e Gianantonio si nutrirono degli esempi aggiornati della pittura di corte sabauda, tanto che il loro stile si stacca da quello più rigido del capostipite Gianbattista. Ha caratteristiche pienamente barocche l’ultima opera di Gianpaolo, San Giorgio in Como, dipinto a ottant’anni, poco prima di morire nel 1626. Gli ultimi eredi dell’attività, Carlo e Raffaele Recchi morirono rispettivamente a venti e quarantacinque anni nel 1687 e nel 1688, anno di estinzione della famiglia pittorica e della bottega.

 

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