Dov'era Dio quel mattino
del 31 ottobre a San Giuliano di Puglia? La domanda è ritornata su
tanta bocche, in tanti cuori. "Si era distratto", riferisce
qualcuno. "Era lì come sempre", ribadisce un altro. E c'è
chi aggiunge: "Era lì come l'eterno Assente". Nella sua
terribile memoria di Auschwitz, Elie Wiesel racconta del bambino
impiccato perché aveva tentato la fuga, che si dibattè a lungo con il
cappio della morte davanti agli occhi impietriti di tutti i prigionieri
del Campo. Anche allora risuonò la domanda: "Dio? Dov'è il tuo
Dio?". E la voce di un prigioniero fra i tanti osò rispondere:
"Dio è lì, appeso a quella forca" (Elie Wiesel, "La
Notte"). Non è atea o blasfema questa risposta gridata nel dolore,
o per lo meno non è solo questo: quello che muore con l'innocente che
muore è il Dio tappabuchi, il Dio impassibile e indifferente spettatore
del dolore umano. Ma proprio così la frase ha un altro senso: Dio è
appeso a quella forca perché non lascia solo il piccolo
che muore. Gli fa compagnia. Lo porta con sé nella morte, oltre la
morte. Il problema è allora intendersi su chi sia Dio: dagli stessi due
termini - Dio e il dolore - è possibile trarre conclusioni opposte. Ci
ha provato in maniera insuperabile Dostoevskij: se c'è Dio,
intollerabile è il dolore che devasta la terra. Ma questo dolore
è intollerabile. Dunque, Dio c'è. Ma anche: se c'è un Dio giusto, non
può esserci il male. Ma il male c'è, conturbante, terribile. Dunque,
Dio non c'è. Dal dilemma si esce soltanto se cambiamo l'idea che
abbiamo di Dio: un Dio grande burattinaio del mondo non regge al
confronto col dolore umano.
Solo il Dio "compassionato", come diceva l'italiano del
Trecento, un Dio cioè compagno del nostro dolore e capace di sostenerlo
e dargli senso, è il Dio che regge lo sguardo delle Mamme di San
Giuliano, dei prigionieri impietriti davanti alla forca di Auschwitz.
Dove troveremo questo Dio? Sembra paradossale dirlo, ma è molto più
vicino a noi di quanto potremmo pensare. Se due millenni di
cristianesimo ci hanno abituati allo scandalo di un Dio crocifisso, al
punto da parlare di Dio come se Lui, il Crocifisso, semplicemente non ci
fosse, la freschezza del racconto evangelico continua a riproporci
quella lancinante domanda: "Mio Dio, mio Dio perché mi hai
abbandonato?".
Non è un ateo, né un bestemmiatore a gridare così verso il cielo: è
il Figlio. E in Lui sono tutte le voci e i silenzi del dolore umano che
vengono raggiunti dalla compagnia del Dio vicino, abbandonato con gli
abbandonati, solo per essere accanto a tutte le solitudini, piccolo con
i piccoli di San Giuliano, ferito
nell'anima come le loro mamme e i loro papà. La stessa voce, da quello
stesso albero di morte e di vittoria, aggiunge: "Nelle Tue mani
affido il mio spirito". Anche ora la voce del Figlio è la nostra:
è la voce di quella fede rocciosa, umile e abbandonata nella mani
dell'Altro, che ha portato la mamma di Luigi a pregare perché
nessuna madre pianga più un figlio morto sotto le macerie della propria
scuola.
È la fede di quella gente molisana solida e forte, che continua a
ringraziare per tutto quanto si fa per lei con un'umiltà infinita,
stampata nei volti dei vecchi, e una dignità altrettanto grande,
quale solo chi sa di essere "figlio di Dio" attinge dal
profondo dell'anima.
Quel 31 ottobre, al mattino, Dio era là, come all'ora nona del Venerdì
Santo della storia del mondo: un Dio che per amore crea e per amore
salva, libero nell'uno e nell'altro dono, che alla creatura amata lascia
tutti gli spazi e i drammi della prova e della libertà, ma mai lascia
solo il piccolo che muore o la madre che lo piange. Un Dio con noi, per
noi, per piangere e per sperare, per vivere e per morire, per credere e
per amare, per accompagnare nell'ultimo silenzio e dare la forza di
ricominciare il cammino della vita senza fermarsi. Un Dio diverso da
quello delle risposte troppo semplici di chi dice di Lui "non
c'è", o "c'è se fa´ quello che io dico". Un Dio che
c'è come "il grande compagno del dolore umano", il Dio che
salva anche il tuo dolore, e ti dà la forza di fare della morte nuovo
inizio di vita.
A San Giuliano, quel 31 Ottobre, siamo stati tutti sfidati da questo Dio
diverso, eppure antico: tutti, credenti e non credenti, figli di questa
cultura segnata dalla Croce più di quanto possiamo o vogliamo pensare.
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