di Francesco Venturi

 


Ritorna a grande richiesta l’analisi a tappe della famigerata “iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi; fino ad ora siamo rimasti nell’ambito della teoria, i paragrafi analizzati nei numeri precedenti ci hanno mostrato il substrato sul quale è fondato l’impianto del documento, ora iniziamo a fare sul serio, entrano in scena le scelte pastorali, ovvero le risposte alla domanda “ok belle parole ma alla fine che dobbiamo fare?” Soffermiamoci perciò in prima istanza sui paragrafi 31, 32 e 33 intitolati (incredibile a dirsi)  Assumere ed attuare un’adeguata concezione di Chiesa; Superare una concezione angusta di pastorale; Rivedere le priorità del ministero ordinato.

Il paragrafo 31 si può riassumere citandone le frase più significative che in nessun modo lasciano adito a fumose interpretazioni “Per un’adeguata ICFR è indispensabile, infatti, creare un ambiente generante la fede. E l’ambiente che genera alla fede è, in primo luogo, la comunità cristiana. Si tratta di far sì che nelle nostre comunità i fanciulli e i ragazzi respirino aria di fede e di comunione.” Come giungere a questo obiettivo? Ci viene in aiuto il paragrafo 32 “È richiesto il superamento di una concezione angusta di pastorale”… Bisogna riguadagnare ogni volta il livello propriamente cristiano e la finalità salvifica dei gesti, delle parole, delle strutture e delle iniziative pastorali, anche oratoriane. Si tratta di ricuperare “il necessario primato della evangelizzazione”, cioè dell’annuncio del Vangelo finalizzato al sorgere della fede. Risulta a questo punto ancor più evidente la necessità di una spinta realmente missionaria nell’azione pastorale, ed inoltre è prioritario il ruolo di pastore del sacerdote infatti (par 33) La tensione a generare alla fede dovrebbe ridiventare l’orizzonte unificante di tutto il ministero del prete. Nel modo d’intendere tale ministero bisogna operare oggi un progressivo “sbilanciamento”: dal compito di custodire gli aspetti istituzionali allo sporgersi sempre più evidente nella disponibilità alle relazioni personali; dall’impegno di mantenere una situazione pastorale già data alla dedizione generosa per favorire nel cuore delle persone l’adesione personale alla fede. “Anche per il prete è giunto il momento di ridare al ministero della fede il primato indiscusso su tutte le altre occupazioni. La traduzione in lingua corrente ha più o meno questo tono: i sacerdoti devono definitivamente uscire dalle sacrestie per riprendere possesso della guida della comunità, tornare essere un vero faro di fede per i fedeli, deve essere trovato un metodo per scaricare i consacrati di quei compiti burocratici o gestionali che impediscono loro di esercitare con completezza il compito proprio del loro carisma. È evidente che questo comporta un coinvolgimento maggior dei laici in tutti quei compiti che fino ad oggi, molto spesso per comodità o pigrizia, erano stati prerogativa dei sacerdoti. Il curato ad esempio è certo il “direttore dell’oratorio” ma non per questo deve occuparsi dell’apertura e chiusura di ogni stanza, o dell’approvvigionamento del bar; dobbiamo permettere ai nostri pastori di coltivare in pienezza la propria spiritualità in modo tale che essi possano a loro volta essere lievito per tutta la comunità.

Come strutturare dunque la formazione alla luce di queste nuove scelte? Dal prossimo numero affronteremo le risposte pratiche, più precisamente quelle che già si stanno attuando nella nostra parrocchia, anche se molti non ne sono a conoscenza; anche su questo aspetto bisogna certamente riflettere.

 

 

 Iniziazione cristiana (parte seconda)