I. ASPETTI BIBLICI

451 L’esperienza viva della presenza divina nella storia è il fondamento della fede del popolo di Dio: «Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente» (Deuteronomio 6,21). La riflessione sulla storia permette di riassumere il passato e di scoprire l’opera di Dio fin nelle proprie radici: «Mio padre era un Arameo errante» (Deuteronomio 26,5); un Dio che può dire al Suo popolo: «Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume» (Genesi 24,3). È una riflessione che permette di volgersi con fiducia al futuro, grazie alla promessa e all’alleanza che Dio rinnova continuamente.
La fede d’Israele vive nel tempo e nello spazio di questo mondo, percepito non come un ambiente ostile o un male da cui liberarsi, ma piuttosto come il dono stesso di Dio, il luogo e il progetto che egli affida alla responsabile guida e operosità dell’uomo. La natura, opera dell’azione creatrice divina, non è una pericolosa concorrente. Dio, che ha fatto tutte le cose, di ognuna di esse «vide che era cosa buona» (Genesi 1,4.10.12.18.21.25). Al vertice della sua creazione, come «cosa molto buona» (Genesi 1,31), il Creatore pone l’uomo. Solo l’uomo e la donna, tra tutte le creature, sono voluti da Dio «a sua immagine» (Genesi 1,27): a loro il Signore affida la responsabilità di tutto il creato, il compito di tutelarne l’armonia e lo sviluppo (cfr. Genesi 1,26-30). Lo speciale legame con Dio spiega la privilegiata posizione della coppia umana nell’ordine della creazione.

452 La relazione dell’uomo con il mondo è un elemento costitutivo dell’identità umana. Si tratta di una relazione che nasce come frutto del rapporto, ancora più profondo, dell’uomo con Dio. Il Signore ha voluto la persona umana come Sua interlocutrice: solo nel dialogo con Dio la creatura umana trova la propria verità, dalla quale trae ispirazione e norme per progettare il futuro del mondo, un giardino che Dio le ha dato affinché sia coltivato e custodito (cfr. Genesi 2,15). Neppure il peccato elimina tale compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro (cfr. Genesi 3,17-19).
La creazione è sempre oggetto della lode nella preghiera di Israele: «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza» (Salmo 104,24). La salvezza è compresa come una nuova creazione, che ristabilisce quell’armonia e quella potenzialità di crescita che il peccato ha compromesso: «Io creo nuovi cieli e nuova terra» (Isaia 65,17) – dice il Signore – «allora il deserto diventerà un giardino… e la giustizia regnerà nel giardino… Il mio popolo dimorerà in una dimora di pace» (Isaia 32,15-18).

453 La salvezza definitiva, che Dio offre a tutta l’umanità mediante il Suo stesso Figlio, non si attua fuori di questo mondo. Pur ferito dal peccato, esso è destinato a conoscere una radicale purificazione (cfr. 2 Pietro 3,10) dalla quale uscirà rinnovato (cfr. Isaia 65,17; 66,22; Apocalisse 21,1), diventando finalmente il luogo nel quale «avrà stabile dimora la giustizia» (cfr. 2 Pietro 3,13).
Nel suo ministero pubblico Gesù valorizza gli elementi naturali. Della natura Egli è non solo sapiente interprete nelle immagini che ama offrire e nelle parabole, ma anche dominatore (cfr. l’episodio della tempesta sedata in Matteo 14,22-33; Marco 6,45-52; Giovanni 6,16-21): il Signore la pone al servizio del Suo disegno redentore. Egli chiede ai Suoi discepoli di guardare alle cose, alle stagioni e agli uomini con la fiducia dei figli che sanno di non poter essere abbandonati da un Padre provvidente (cfr. Luca 11,11-13). Lungi dal farsi schiavo delle cose, il discepolo di Cristo deve sapersene servire per creare condivisione e fraternità (cfr. Luca 16,9-13).

454 L’ingresso di Gesù nella storia del mondo ha il suo culmine nella Pasqua, dove la natura stessa partecipa al dramma del Figlio di Dio rifiutato e alla vittoria della Risurrezione (cfr. Matteo 27,45.51; 28,2). Attraversano la morte e innestandovi la novità splendente della Risurrezione, Gesù inaugura un mondo nuovo in cui tutto è sottomesso a Lui (cfr. 1 Corinti 15,20-28) e ristabilisce quei rapporti di ordine e di armonia che il peccato aveva distrutto. La coscienza degli squilibri tra l’uomo e la natura deve accompagnarsi alla consapevolezza che in Gesù è avvenuta la riconciliazione dell’uomo e del mondo con Dio, così che ogni essere umano, consapevole dell’Amore divino, può ritrovare la pace perduta: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2 Corinti 5,17). La natura, che nel Verbo era stata creata, per mezzo dello stesso Verbo, fattosi carne, viene riconciliata con Dio e rappacificata (cfr. Colossesi 1,15-20).

455 Non solo l’interiorità dell’uomo è risanata, ma tutta la sua corporeità è toccata dalla forza redentrice di Cristo; l’intera creazione prende parte al rinnovamento che scaturisce dalla Pasqua del Signore, pur nei gemiti delle doglie del parto (cfr. Romani 8,19-23), in attesa di dare alla luce «un nuovo cielo e una nuova terra» (Apocalisse 21,1) che sono il dono della fine dei tempi, della salvezza compiuta. Nel frattempo, nulla è estraneo a tale salvezza: in qualsiasi condizione di vita, il cristiano è chiamato a servire Cristo, a vivere secondo il Suo Spirito, lasciandosi guidare dall’amore, principio di vita nuova, che riporta il mondo e l’uomo al progetto delle loro origini. «il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Corinti 3,22-23).

II. L’UOMO E L’UNIVERSO DELLE COSE

456 La visione biblica ispira gli atteggiamenti dei cristiani in relazione all’uso della terra, nonché allo sviluppo della scienza e della tecnica. Il Concilio Vaticano II afferma che l’uomo «partecipe della luce della mente divina, per la sua intelligenza… ritiene giustamente di superare tutte le realtà»; i Padri Conciliari riconoscono i progressi fatti grazie all’applicazione instancabile dell’ingegno umano lungo i secoli, nelle scienze empiriche, nelle arti tecniche e nelle discipline liberali. L’uomo oggi, «specialmente per mezzo della scienza e della tecnica, ha esteso e continuamente estende il suo dominio su quasi tutta la natura».
Poiché l’uomo, «creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di governare il mondo nella giustizia e nella santità, sottomettendo a sé la terra con tutto quello che in essa è contenuto, e di rapportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendolo Creatore di tutte le cose, perché, nella sottomissione di tutte le cose all’uomo, sia grande il nome di Dio su tutta la terra», il Concilio insegna che «l’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso corrisponde al progetto di Dio».

457 I risultati della scienza e della tecnica sono, in se stessi, positivi: i cristiani «nemmeno pensano a contrapporre quello che gli uomini hanno prodotto con il proprio ingegno e la propria forza alla potenza di Dio, né che la creatura razionale sia quasi rivale del Creatore; al contrario, sono convinti piuttosto che le vittorie dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile progetto». I Padri Conciliari sottolineano anche il fatto che «quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più largamente si estende la responsabilità sia degli individui che delle comunità, e che ogni attività umana deve corrispondere, secondo il disegno di Dio e la Sua volontà, al vero bene dell’umanità. In questa prospettiva, il Magistero ha più volte sottolineato che la Chiesa Cattolica non si oppone in alcun modo al progresso, anzi considera «la scienza e la tecnologia… un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio, dal momento che ci hanno fornito possibilità meravigliose, di cui beneficiamo con animo grato». Per questa ragione, «come credenti in Dio, che ha giudicato “buona” la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l’uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare».

458 Le considerazioni del Magistero sulla scienza e sulla tecnologia in generale valgono anche per le loro applicazioni all’ambiente naturale e all’agricoltura. La Chiesa apprezza «i vantaggi che derivano – e che possono ancora derivare – dallo studio e dalle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell’agricoltura e nell’industria». Infatti, «la tecnica potrebbe costituire, con una retta applicazione, un prezioso strumento utile a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e della malattia, mediante la produzione di varietà di piante più progredite e resistenti e di preziosi medicamenti». È importante, però, ribadire il concetto di «retta applicazione», perché «noi sappiamo che questo potenziale non è neutro: esso può essere usato sia per il progresso dell’uomo, sia per la sua degradazione». Per questa ragione «è necessario… mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata». Gli scienziati dunque, devono «utilizzare veramente la loro ricerca e le loro capacità tecniche per il servizio dell’umanità», sapendo subordinarle «ai principi e valori morali che rispettano e realizzano nella sua pienezza la dignità dell’uomo».

459 Punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto dell’uomo, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi. Anche quando si pensa ad una loro alterazione, «occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». In questo senso, le formidabili possibilità della ricerca biologica suscitano profonda inquietudine, in quanto «non si è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita umana». Infatti, «si è constatato che l’applicazione di talune scoperte nell’ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un’area dell’ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future generazioni».

460 L’uomo, dunque, non deve dimenticare che «la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro… si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio». Egli non deve «disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire». Quando si comporta in questo modo, «invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui».
Se l’uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che «interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio. Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l’uomo fosse il re della creazione». In fondo, è Dio stesso che offre all’uomo l’onore di cooperare con tutte le forze dell’intelligenza all’opera della creazione.

III. LA CRISI NEL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE

461 Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l’uomo e l’ambiente. Alle origini di tali problemi si può ravvisare la pretesa di esercitare un dominio incondizionato sulle cose da parte dell’uomo, un uomo incurante di quelle considerazioni di ordine morale che devono invece contraddistinguere ogni attività umana.
La tendenza allo sfruttamento «sconsiderato» delle risorse del creato è il risultato di un lungo processo storico e culturale: «L’epoca moderna ha registrato una crescente capacità d’intervento trasformativo da parte dell’uomo. L’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l’equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico».

462 La natura appare come uno strumento nelle mani dell’uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. A partire dal presupposto, rivelatosi errato, che esiste una quantità illimitata di energia e di risorse da utilizzare, che la loro rigenerazione sia possibile nell’immediato e che gli effetti negativi delle manipolazioni dell’ordine naturale possono essere facilmente assorbiti, si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicista e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all’avere piuttosto che all’essere causa gravi forme di alienazione umana.
Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da una ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla. La scienza e la tecnica, con il loro progresso, non eliminano il bisogno di trascendenza e non sono di per sé causa di secolarizzazione esasperata che conduce al nichilismo; mentre avanzano nel loro cammino, esse suscitano domande circa il loro senso e fanno crescere la necessità di rispettare la dimensione trascendente della persona umana e della stessa creazione.

463 Una corretta concezione dell’ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall’altra non deve assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. In quest’ultimo caso, si arriva al punto di divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti che chiedono di dare un profilo istituzionale internazionalmente garantito alle loro concezioni.
Il Magistero ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, perché essa «si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi».

464 Una visione dell’uomo e delle cose slegata d ogni riferimento alla trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all’uomo e alla natura un’esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l’uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua stessa identità. L’essere umano si è trovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È ben chiara la conseguenza che ne discende: «è il rapporto che l’uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell’uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l’uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell’uomo con l’ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante». Va messa maggiormente in risalto la profonda connessione esistente tra ecologia ambientale ed «ecologia umana».

465 Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti: «L’umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le sue nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno».

IV. UNA COMUNE RESPONSABILITÀ

a) L’ambiente, un bene collettivo

466 La tutela dell’ambiente costituisce una sfida per l’umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo, destinato a tutti, impedendo che si possa fare «impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati – animali, piante, elementi naturali – come si vuole, a seconda delle proprie esigenze». È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell’ordine universale stabilito dal Creatore: «occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch’è appunto il cosmo».
Questa prospettiva riveste una particolare importanza quando si considera, nel contesto degli stretti legami che uniscono tra loro i vari ecosistemi, il valore ambientale della biodiversità, che va trattata con senso di responsabilità e adeguatamente protetta, perché costituisce una straordinaria ricchezza per l’intera umanità. A questo proposito, ognuno può facilmente avvertire, per esempio, l’importanza della regione amazzonica, «uno degli spazi più apprezzati del mondo per la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l’equilibrio ambientale di tutto il pianeta». Le foreste contribuiscono a mantenere essenziali equilibri naturali indispensabili alla vita. La loro distruzione, anche mediante sconsiderati incendi dolosi, accelera i processi di desertificazione con rischiose conseguenze per le riserve di acqua e compromette la vita di molti popoli indigeni e il benessere delle future generazioni. Tutti, individui e soggetti istituzionali, devono sentirsi impegnati a proteggere il patrimonio forestale e, dove necessario, promuovere adeguati programmi di riforestazione.

467 La responsabilità verso l’ambiente, patrimonio comune del genere umano, si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro: «Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere». Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale.

468 La responsabilità verso l’ambiente deve trovare una traduzione adeguata a livello giuridico. È importante che la Comunità internazionale elabori regole uniformi, affinché tale regolamentazione consenta agli Stati di controllare con maggior efficacia le diverse attività che determinano effetti negativi sull’ambiente e di preservare gli ecosistemi prevedendo possibili incidenti: «Spetta ad ogni Stato, nell’ambito del proprio territorio, il compito di prevenire il degrado dell’atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l’altro, gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici».
Il contenuto giuridico del «diritto ad un ambiente sano e sicuro» sarà il frutto di una graduale elaborazione, sollecitata dalla preoccupazione dell’opinione pubblica di disciplinare l’uso dei beni del creato secondo le esigenze del bene comune e in una comune volontà di introdurre sanzioni per coloro che inquinano. Le norme giuridiche, tuttavia, da sole non bastano; accanto ad esse devono maturare un forte senso di responsabilità nonché un effettivo cambiamento di mentalità e negli stili di vita.

469 Le autorità chiamate a prendere decisioni per fronteggiare rischi sanitari ed ambientali talvolta si trovano di fronte a situazioni nelle quali i dati scientifici disponibili sono contradditori oppure quantitativamente scarsi: può essere opportuna allora una valutazione ispirata dal «principio di precauzione», che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Esso manifesta l’esigenza di una decisione provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte. La decisione deve essere proporzionata rispetto a provvedimenti già in atto per altri rischi. Le politiche cautelative, basate sul principio di precauzione, richiedono che le decisioni siano basate su un confronto fra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa, ivi compresa la decisione di non intervenire. All’approccio precauzionale è connessa l’esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l’assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza del processo decisionale.

470 La programmazione dello sviluppo economico deve considerare attentamente «la necessità di rispettare l’integrità e i ritmi della natura», poiché le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. L’attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali per il tempo presente e per il futuro. La soluzione del problema ecologico richiede che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente, conciliando le esigenze dello sviluppo economico con quelle della protezione ambientale. Ogni attività economica che si avvalga delle risorse naturali deve anche preoccuparsi della salvaguardia dell’ambiente e prevederne i costi, che sono da considerare come «una voce essenziale dei costi dell’attività economica». In questo contesto vanno considerati i rapporti tra l’attività umana e i cambiamenti climatici che, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale. Il clima è un bene che va protetto richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggior senso di responsabilità.
Un’economia rispettosa dell’ambiente non perseguirà unicamente l’obiettivo della massimizzazione del profitto, perché la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente. Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l’obbligo di riconsiderare le modalità d’uso dei beni naturali. La ricerca di innovazioni capaci di ridurre l’impatto sull’ambiente provocato dalla produzione e dal consumo dovrà essere efficacemente incentivata.
Un’attenzione particolare dovrà essere riservata alle complesse problematiche riguardanti le risorse energetiche. Quelle non rinnovabili, alle quali attingono i Paesi altamente industrializzati e quelli di recente industrializzazione, devono essere poste al servizio di tutta l’umanità. In una prospettiva morale improntata all’equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche , a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare. L’utilizzo dell’energia, per i legami che ha con le questioni dello sviluppo e dell’ambiente, chiama in causa le responsabilità politiche degli Stati, della comunità internazionale e degli operatori economici; tali responsabilità dovranno essere illuminate e guidate dalla ricerca continua del bene comune universale.

471 Una speciale attenzione merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse: si tratta di un’espressione fondamentale della loro identità. Molti popoli hanno già perso o rischiano di perdere, a vantaggio di potenti interessi agro-industriali o in forza di processi di assimilazione e di urbanizzazione, le terre su cui vivono, alle quali è legato il senso stesso della loro esistenza. I diritti dei popoli indigeni devono essere opportunamente tutelati. Questi popoli offrono un esempio di vita in armonia con l’ambiente che essi hanno imparato a conoscere e a preservare: la loro straordinaria esperienza, che è un’insostituibile ricchezza per tutta l’umanità, rischia di andare perduta insieme all’ambiente da cui trae origine.

b) L’uso delle biotecnologie

472 Negli ultimi anni si è imposta con forza la questione dell’uso delle nuove biotecnologie per scopi legati all’agricoltura, alla zootecnia, alla medicina e alla protezione dell’ambiente. Le nuove possibilità offerte dalle attuali tecniche biologiche e biogenetiche suscitano, da una parte, speranze ed entusiasmi e, dall’altra, allarme e ostilità. Le applicazioni delle biotecnologie, la loro liceità dal punto di vista morale, le loro conseguenze per la salute dell’uomo, il loro impatto sull’ambiente e sull’economia, formano oggetto di uno studio approfondito e di vivace dibattito. Si tratta di questioni controverse che coinvolgono scienziati e ricercatori, politici e legislatori, economisti e ambientalisti, produttori e consumatori. I cristiani non sono indifferenti a queste problematiche, coscienti dell’importanza dei valori in gioco.

473 La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell’uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità. La natura umana non è, in effetti, una realtà sacra o divina, sottratta all’azione umana. È piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all’intelligenza e alla responsabilità morale dell’uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l’ordine, la bellezza e l’utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell’ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell’uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l’ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento. La liceità dell’uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica: come per ogni comportamento umano, è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi. Nell’ambito degli interventi tecnico-scientifici di forte e ampia incisività sugli organismi viventi, con la possibilità di notevoli ripercussioni a lungo termine, non è lecito agire con leggerezza e irresponsabilità.

474 Le moderne biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, sul piano locale, nazionale e internazionale: vanno valutate secondo i criteri etici che devono sempre orientare le attività e i rapporti umani nell’ambito socio-economico e politico. Bisogna tener presenti soprattutto i criteri di giustizia e di solidarietà, ai quali si devono attenere innanzi tutto gli individui ed i gruppi che operano nella ricerca e nella commercializzazione nel campo delle biotecnologie. Comunque, non si deve cadere nell’errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta.

475 In uno spirito di solidarietà internazionale, diverse misure possono essere attuate in relazione all’uso delle nuove biotecnologie. Va facilitato, in primo luogo, l’interscambio commerciale equo, libero da vincoli ingiusti. La promozione dello sviluppo dei popoli più svantaggiati non sarà però autentica ed efficace se si riduce all’interscambio di prodotti. È indispensabile favorire anche la maturazione di una necessaria autonomia scientifica e tecnologica da parte di quegli stessi popoli, promuovendo gli interscambi di conoscenze scientifiche e tecnologiche e il trasferimento di tecnologie verso i paesi in via di sviluppo.

476 La solidarietà comporta anche un richiamo alla responsabilità che hanno i Paesi in via di sviluppo e in particolare, le loro autorità politiche, di promuovere una politica commerciale favorevole ai loro popoli e l’interscambio di tecnologie atte a migliorarne le condizioni alimentari e sanitarie. In tali Paesi deve crescere l’investimento nella ricerca, con speciale attenzione alle caratteristiche e alle necessità particolari del proprio territorio e della propria popolazione, soprattutto tenendo presente che alcune ricerche nel campo delle biotecnologie, potenzialmente benefiche, richiedono investimenti relativamente modesti. A tal fine sarebbe utile la creazione di Organismi internazionali deputati alla protezione del bene comune mediante un’accorta gestione dei rischi.

477 Gli scienziati e i tecnici impegnati nel settore delle biotecnologie sono chiamati a lavorare con intelligenza e perseveranza nella ricerca delle migliori soluzioni per i gravi e urgenti problemi dell’alimentazione e della sanità. Essi non devono dimenticare che le loro attività riguardano materiali, viventi e non, appartenenti all’umanità come un patrimonio, destinato anche alle generazioni future; per i credenti si tratta di un dono ricevuto dal Creatore, affidato all’intelligenza e alla libertà umane, anch’esse dono dell’Altissimo. Sappiano gli scienziati impegnare le loro energie e le loro capacità in una ricerca appassionata, guidata da una coscienza limpida e onesta.

478 Gli imprenditori e i responsabili degli enti pubblici che si occupano della ricerca, della produzione e dl commercio dei prodotti derivati dalle nuove biotecnologie devono tener conto non solo del legittimo profitto, ma anche del bene comune. Questo principio, valido per ogni tipo di attività economica, diventa particolarmente importante quando si tratta di attività che hanno a che fare con l’alimentazione, la medicina, la custodia della salute e dell’ambiente. Con le loro decisioni, imprenditori e responsabili degli enti pubblici interessati possono orientare gli sviluppi nel settore delle biotecnologie verso traguardi molto promettenti per quanto riguarda la lotta contro la fame, specialmente nei Paesi più poveri, la lotta contro le malattie e la lotta per la salvaguardia dell’ecosistema, patrimonio di tutti.

479 I politici, i legislatori e i pubblici amministratori hanno la responsabilità di valutare le potenzialità, i vantaggi e gli eventuali rischi connessi all’uso delle biotecnologie. Non è auspicabile che le loro decisioni, a livello nazionale o internazionale, vengano dettate da pressioni provenienti da interessi di parte. Le autorità pubbliche devono favorire anche una corretta informazione dell’opinione pubblica e saper prendere comunque le decisioni più convenienti per il bene comune.

480 Anche i responsabili dell’informazione hanno un compito importante, da svolgere con prudenza e obiettività. La società si aspetta da loro un’informazione completa e obiettiva, che aiuti i cittadini a formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici, soprattutto perché si tratta di qualcosa che li concerne in prima persona in quanto possibili consumatori. Si deve evitare, pertanto, di cadere nella tentazione di una informazione superficiale, alimentata da facili entusiasmi o da ingiustificati allarmismi.

c) Ambiente e condivisione dei beni

481 Anche nel campo dell’ecologia la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Si tratta essenzialmente di impedire l’ingiustizia di un accaparramento delle risorse: l’avidità, sia essa individuale o collettiva, è contraria all’ordine della creazione. Gli attuali problemi ecologici, di carattere planetario, possono essere affrontati efficacemente solo grazie ad una cooperazione internazionale capace di garantire un maggiore coordinamento sull’uso delle risorse della terra.

482 Il principio della destinazione universale dei beni offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme ambiente e povertà. L’attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all’erosione e alla desertificazione o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità.
Moltissimi di questi poveri vivono nei sobborghi inquinati delle città in alloggiamenti di fortuna o in agglomerati di case fatiscenti e pericolose (slums, bidonvilles, barrios, favelas). Nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un’adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati.
Si tenga presente, inoltre, la situazione dei Paesi penalizzati dalle regole di un commercio internazionale non equo, nei quali permane una scarsità di capitali spesso aggravata dall’onere del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono quasi inevitabile uno sfruttamento intensivo ed eccessivo dell’ambiente.

483 Lo stretto legame che esiste tra lo sviluppo dei Paesi più poveri, mutamenti demografici e un uso sostenibile dell’ambiente, non va utilizzato come pretesto per scelte politiche ed economiche poco conformi alla dignità della persona umana. Nel Nord del pianeta si assiste ad una «caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull’invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente», mentre nel Sud la situazione è diversa. Se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale: «Siamo tutti d’accordo che una politica demografica è soltanto una parte di una strategia di sviluppo globale. Di conseguenza è importante che tutti i dibattiti sulle politiche demografiche prendano in considerazione lo sviluppo attuale e futuro delle nazioni e delle regioni. Allo stesso tempo è impossibile non tener conto dell’autentica natura del significato del termine “sviluppo”. Qualsiasi sviluppo degno di questo nome deve essere completo, ossia rivolto al bene autentico di ogni persona e dell’intera persona».

484 Il principio della destinazione universale dei beni si applica naturalmente anche all’acqua, considerata nelle Sacre Scritture come simbolo di purificazione (cfr. Salmo 51,4; Giovanni 13,8) e di vita (cfr. Giovanni 3,5; Galati 3,27): «In quanto dono di Dio, l’acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e, pertanto, un diritto di tutti». L’utilizzazione dell’acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà. Un limitato accesso all’acqua potabile incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenze, conflitti, povertà e addirittura morte: per essere adeguatamente risolta, tale questione «deve essere inquadrata in modo da stabilire criteri morali basati proprio sul valore della vita e sul rispetto dei diritti e della dignità di tutti gli esseri umani».

485 L’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l’acqua è sempre stata considerata un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all’acqua, come tutti i diritti dell’uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile.

d)Nuovi stili di vita

486 I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita, «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti». Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all’autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l’ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una rinnovata consapevolezza dell’interdipendenza che lega fra loro tutti gli abitanti della terra, concorre ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per un’autentica solidarietà a dimensione mondiale.

487 L’atteggiamento che deve caratterizzare l’uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell’orizzonte del mistero, che apre all’uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell’uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice.

 

 

 

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (2004)

PARTE SECONDA – CAPITOLO DECIMO

SALVAGUARDARE L’AMBIENTE