Formazione della coscienza

di Gianni Maurelli

 

 

 

IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
E DELLA RICONCILIAZIONE

Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima ed Eucaristia) l’uomo riceve la vita nuova di Cristo; questa vita, però, la portiamo in “vasi di creta” (2 Cor 4,7) soggetti a scalfirsi, a incrinarsi, a deteriorarsi, a rompersi.
Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ha voluto affidare alla sua Chiesa il compito di continuare, mediante la forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza. E’ proprio questo lo scopo del sacramento della penitenza e del sacramento dell’unzione degli infermi che sono definiti sacramenti di guarigione. (Catechismo Chiesa Cattolica 1420)
Con il sacramento della penitenza i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa. (CCC 1422)
Già nell’Antico Testamento la penitenza è un atto religioso, personale, che ha come termine l’amore e l’abbandono nel Signore. Si ricorreva alla penitenza per lo più dopo il peccato per placare l’ira divina, in occasione di gravi calamità, nell’imminenza di particolari pericoli, allo scopo di ottenere benefici dal Signore.
Ci si privava del cibo e ci si spogliava dei propri beni anche dopo che il peccato era stato perdonato, si digiunava e si usava il cilicio per affliggere la propria anima, per umiliarsi al cospetto di Dio, per disporsi con più facilità alla preghiera.
La penitenza aveva anche un aspetto sociale che si esprimeva nelle liturgie penitenziali, che erano segno di coscienza collettiva del peccato e di appartenenza al popolo di Dio. (Lv 23,29).
Sarà in Cristo che la penitenza assumerà dimensioni nuove, infinitamente più vaste e profonde. Prima di cominciare il suo ministero Gesù passò quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno. Il suo invito a “ravvedersi”, cioè a “convertirsi” diventerà sempre più chiaro sino a quando Egli stesso si offrirà come esempio di penitenza, subendo la pena per i peccati non suoi, ma degli altri.
Il peccato è una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge divina; è un’offesa a Dio. La radice di tutti i peccati è nel cuore dell’uomo, la loro specie e gravità si misurano in base al loro oggetto. Scegliere deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa gravemente contraria alla legge divina, è commettere peccato mortale; esso distrugge in noi la carità senza la quale la beatitudine eterna è impossibile, senza pentimento conduce alla morte eterna.
Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per mezzo della carità che tale peccato lascia sussistere in noi. (CCC 1871-1875)
Giovanni Paolo II più volte aveva rivolto inviti accorati a riscoprire personalmente e a far riscoprire la bellezza del sacramento della riconciliazione, sacramento che, per diversi motivi, soffre da alcuni decenni di una crisi evidente. Egli amava dire che il vero peccato del nostro tempo è la perdita del senso del peccato.
E’ ovvio che se viene meno il senso del peccato il sacramento istituito da Gesù per cancellarlo non ha più senso né valore.
Il progressivo attenuarsi del senso del peccato viene attribuito alla cultura contemporanea del secolarismo, che prescinde da Dio; alla preoccupazione psicologica di non porre alcun freno ed alcun limite alla libertà di ciascuno; allo scaricare tutte le colpe sulla società, deresponsabilizzando, di fatto, ogni comportamento; al relativismo etico e culturale ormai imperante, al rifiuto di ogni riferimento al trascendente; all’oscuramento e alla negazione di Dio.
Nel contempo, però, mentre diminuisce la frequenza al sacramento della riconciliazione, aumenta la frequenza alla comunione eucaristica con il rischio, non solo teorico, di una preoccupante autoreferenzialità che porta a trascurare il grave e perentorio ammonimento dell’apostolo Paolo: “Chiunque mangia il pane e beve il calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno dunque esamini sé stesso e poi mangi del pane e beva del calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna”. (1 Cor 11,27-29)
Questo sacramento viene chiamato sacramento della conversione perché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato; è chiamato sacramento della penitenza perchè consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore; è chiamato anche sacramento della confessione perché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento; è chiamato sacramento del perdono perché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente il “perdono e la pace”; è chiamato sacramento della riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia con Dio e con i fratelli. (CCC 1423-1424).
Per il cristiano il sacramento della penitenza con confessione individuale e completa è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei peccati commessi.
Gesù ha istituito il sacramento della penitenza il giorno della sua risurrezione: “La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, i discepoli se ne stavano con le porte chiuse per paura. Gesù venne e si fermò in mezzo a loro …..Poi soffiò su di loro e disse - Ricevete lo Spirito Santo a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi non li perdonerete, non saranno perdonati”. (Gv 20,19-22)
Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione, i vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero.
Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica e possono essere assolti, secondo il diritto della Chiesa, soltanto dal Papa, dal vescovo del luogo o da presbiteri da loro specificamente autorizzati. (CCC 1463)
Molti si chiedono perché confessare i propri peccati ad un sacerdote e non direttamente a Dio. E’ sempre a Dio che ci si rivolge quando si confessano i propri peccati; che sia necessario farlo anche davanti a un sacerdote ce lo fa capire Dio stesso: scegliendo di inviare Suo Figlio nella nostra carne, egli ci dimostra di volerci incontrare mediante un contatto diretto, che passa attraverso i segni e i linguaggi della nostra condizione umana. Come Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a “toccarci” con la sua carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per amore Suo e andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo con la parola e con il gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote dà nel sacramento può comunicare la certezza interiore di essere stati veramente perdonati e accolti dal Padre che è nei cieli, perché Cristo ha affidato al ministero della Chiesa il potere di legare e di sciogliere, di escludere e di ammettere nella comunità ecclesiale.
Perciò confessarsi da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel segreto del cuore, esposto alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la vita e la storia. Da soli non si potrà mai sapere se si è stati toccati dalla grazia di Dio o dalla propria emozione, se ci si è perdonati da soli o è stato Lui per la via che Lui ha scelto. Assolti da chi il Signore ha scelto e inviato come ministro del perdono farà sperimentare la libertà che solo Dio dona e si capirà perché confessarsi è fonte di pace.
Secondo il precetto della Chiesa ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi almeno una volta all’anno.(CCC1457)
Per promuovere e valorizzare la pratica del sacramento della riconciliazione è necessario un più forte e assiduo impegno di catechesi, mirato ad illuminare i credenti sulla natura e sulle conseguenze del peccato, e sulla efficacia del sacramento della riconciliazione.
Grazie al dono dello Spirito che effonde in noi l’amore di Dio, il sacramento della riconciliazione è sorgente di vita nuova, comunione rinnovata con Dio e con la Chiesa. E’ lo Spirito a spingere il peccatore perdonato a esprimere nella vita la pace ricevuta e a maturare il proposito fermo di vivere un cammino di conversione fatto di impegni concreti di carità e di preghiera: il segno penitenziale richiesto dal confessore serve appunto ad esprimere questa scelta.
La vita nuova, a cui così rinasciamo, può dimostrare più di ogni altra cosa la bellezza del perdono sempre di nuovo invocato e ricevuto. Il perdono che riceviamo “per – dono” è realtà di fede, non si realizza fuori della fede, perché il perdono è legato alla fede che Cristo è morto per noi. La morte di Cristo garantisce che Lui veramente ha amato, si è donato, ha perdonato.

Gianni Maurelli