IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
E DELLA RICONCILIAZIONE
Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima ed
Eucaristia) l’uomo riceve la vita nuova di Cristo; questa vita, però, la
portiamo in “vasi di creta” (2 Cor 4,7) soggetti a scalfirsi, a incrinarsi,
a deteriorarsi, a rompersi.
Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ha voluto
affidare alla sua Chiesa il compito di continuare, mediante la forza dello
Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza. E’ proprio questo
lo scopo del sacramento della penitenza e del sacramento dell’unzione degli
infermi che sono definiti sacramenti di guarigione. (Catechismo Chiesa
Cattolica 1420)
Con il sacramento della penitenza i fedeli ricevono dalla misericordia di
Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la
Chiesa. (CCC 1422)
Già nell’Antico Testamento la penitenza è un atto religioso, personale, che
ha come termine l’amore e l’abbandono nel Signore. Si ricorreva alla
penitenza per lo più dopo il peccato per placare l’ira divina, in occasione
di gravi calamità, nell’imminenza di particolari pericoli, allo scopo di
ottenere benefici dal Signore.
Ci si privava del cibo e ci si spogliava dei propri beni anche dopo che il
peccato era stato perdonato, si digiunava e si usava il cilicio per
affliggere la propria anima, per umiliarsi al cospetto di Dio, per disporsi
con più facilità alla preghiera.
La penitenza aveva anche un aspetto sociale che si esprimeva nelle liturgie
penitenziali, che erano segno di coscienza collettiva del peccato e di
appartenenza al popolo di Dio. (Lv 23,29).
Sarà in Cristo che la penitenza assumerà dimensioni nuove, infinitamente più
vaste e profonde. Prima di cominciare il suo ministero Gesù passò quaranta
giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno. Il suo invito a
“ravvedersi”, cioè a “convertirsi” diventerà sempre più chiaro sino a quando
Egli stesso si offrirà come esempio di penitenza, subendo la pena per i
peccati non suoi, ma degli altri.
Il peccato è una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge divina;
è un’offesa a Dio. La radice di tutti i peccati è nel cuore dell’uomo, la
loro specie e gravità si misurano in base al loro oggetto. Scegliere
deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa gravemente contraria
alla legge divina, è commettere peccato mortale; esso distrugge in noi la
carità senza la quale la beatitudine eterna è impossibile, senza pentimento
conduce alla morte eterna.
Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per mezzo
della carità che tale peccato lascia sussistere in noi. (CCC 1871-1875)
Giovanni Paolo II più volte aveva rivolto inviti accorati a riscoprire
personalmente e a far riscoprire la bellezza del sacramento della
riconciliazione, sacramento che, per diversi motivi, soffre da alcuni
decenni di una crisi evidente. Egli amava dire che il vero peccato del
nostro tempo è la perdita del senso del peccato.
E’ ovvio che se viene meno il senso del peccato il sacramento istituito da
Gesù per cancellarlo non ha più senso né valore.
Il progressivo attenuarsi del senso del peccato viene attribuito alla
cultura contemporanea del secolarismo, che prescinde da Dio; alla
preoccupazione psicologica di non porre alcun freno ed alcun limite alla
libertà di ciascuno; allo scaricare tutte le colpe sulla società,
deresponsabilizzando, di fatto, ogni comportamento; al relativismo etico e
culturale ormai imperante, al rifiuto di ogni riferimento al trascendente;
all’oscuramento e alla negazione di Dio.
Nel contempo, però, mentre diminuisce la frequenza al sacramento della
riconciliazione, aumenta la frequenza alla comunione eucaristica con il
rischio, non solo teorico, di una preoccupante autoreferenzialità che porta
a trascurare il grave e perentorio ammonimento dell’apostolo Paolo:
“Chiunque mangia il pane e beve il calice del Signore in modo indegno, sarà
colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno dunque esamini sé
stesso e poi mangi del pane e beva del calice, perché chi mangia e beve
senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna”. (1
Cor 11,27-29)
Questo sacramento viene chiamato sacramento della conversione perché
realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di
ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato; è chiamato
sacramento della penitenza perchè consacra un cammino personale ed
ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano
peccatore; è chiamato anche sacramento della confessione perché l’accusa, la
confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di
questo sacramento; è chiamato sacramento del perdono perché, attraverso
l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente il
“perdono e la pace”; è chiamato sacramento della riconciliazione perché dona
al peccatore l’amore di Dio che riconcilia con Dio e con i fratelli. (CCC
1423-1424).
Per il cristiano il sacramento della penitenza con confessione individuale e
completa è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei
peccati commessi.
Gesù ha istituito il sacramento della penitenza il giorno della sua
risurrezione: “La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, i
discepoli se ne stavano con le porte chiuse per paura. Gesù venne e si fermò
in mezzo a loro …..Poi soffiò su di loro e disse - Ricevete lo Spirito Santo
a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi non li perdonerete,
non saranno perdonati”. (Gv 20,19-22)
Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della
riconciliazione, i vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori
dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero.
Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica e possono
essere assolti, secondo il diritto della Chiesa, soltanto dal Papa, dal
vescovo del luogo o da presbiteri da loro specificamente autorizzati. (CCC
1463)
Molti si chiedono perché confessare i propri peccati ad un sacerdote e non
direttamente a Dio. E’ sempre a Dio che ci si rivolge quando si confessano i
propri peccati; che sia necessario farlo anche davanti a un sacerdote ce lo
fa capire Dio stesso: scegliendo di inviare Suo Figlio nella nostra carne,
egli ci dimostra di volerci incontrare mediante un contatto diretto, che
passa attraverso i segni e i linguaggi della nostra condizione umana. Come
Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a “toccarci” con la sua
carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per amore Suo e
andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo con la
parola e con il gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote dà
nel sacramento può comunicare la certezza interiore di essere stati
veramente perdonati e accolti dal Padre che è nei cieli, perché Cristo ha
affidato al ministero della Chiesa il potere di legare e di sciogliere, di
escludere e di ammettere nella comunità ecclesiale.
Perciò confessarsi da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel segreto
del cuore, esposto alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la vita
e la storia. Da soli non si potrà mai sapere se si è stati toccati dalla
grazia di Dio o dalla propria emozione, se ci si è perdonati da soli o è
stato Lui per la via che Lui ha scelto. Assolti da chi il Signore ha scelto
e inviato come ministro del perdono farà sperimentare la libertà che solo
Dio dona e si capirà perché confessarsi è fonte di pace.
Secondo il precetto della Chiesa ogni fedele, raggiunta l’età della
discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati
gravi almeno una volta all’anno.(CCC1457)
Per promuovere e valorizzare la pratica del sacramento della riconciliazione
è necessario un più forte e assiduo impegno di catechesi, mirato ad
illuminare i credenti sulla natura e sulle conseguenze del peccato, e sulla
efficacia del sacramento della riconciliazione.
Grazie al dono dello Spirito che effonde in noi l’amore di Dio, il
sacramento della riconciliazione è sorgente di vita nuova, comunione
rinnovata con Dio e con la Chiesa. E’ lo Spirito a spingere il peccatore
perdonato a esprimere nella vita la pace ricevuta e a maturare il proposito
fermo di vivere un cammino di conversione fatto di impegni concreti di
carità e di preghiera: il segno penitenziale richiesto dal confessore serve
appunto ad esprimere questa scelta.
La vita nuova, a cui così rinasciamo, può dimostrare più di ogni altra cosa
la bellezza del perdono sempre di nuovo invocato e ricevuto. Il perdono che
riceviamo “per – dono” è realtà di fede, non si realizza fuori della fede,
perché il perdono è legato alla fede che Cristo è morto per noi. La morte di
Cristo garantisce che Lui veramente ha amato, si è donato, ha perdonato.
Gianni Maurelli