Quando sono invitato a casa di amici sono spesso accolto dal televisore acceso che fa da sentinella. Nessuno vi fa attenzione, ma si conta sul televisore per non restare in silenzio, senza parole.
Il silenzio inquieta, il rumore rassicura. Il silenzio è sospetto, il frastuono è normale. Riuscite ad immaginare un centro commerciale senza la continuità del suo fondo sonoro? Sembra che il rumore, musica e voci, - ma dov’è, oggi, la differenza tra musica e rumore? – attiri clienti, li spinga ad allargare i cordoni della borsa, rimpingui gli incassi . . .
Ho sempre più spesso la sensazione che i ragazzi si siano ridotti ad urlare per avere la possibilità di farsi sentire. Si direbbe che siano nati in un mondo di sordi o, almeno, in un mondo che assorda. Se una volta la sordità poteva essere l’effetto perverso di alcuni particolari mestieri, oggi i timpani si distruggono per il piacere del rumore.
Quando qualcuno vi dice che un quartiere è “pieno di vita”, significa che è molto rumoroso, perché è il chiasso che oggi manifesta la vita. L’impressione è che gli schiamazzi allontanino la morte, la noia, la solitudine. Il silenzio è sentito come un vuoto, un’assenza , un abbandono.
E tuttavia, il silenzio non è un deserto. E’ ben altra cosa che l’assenza di rumore. Il silenzio ha soltanto bisogno di essere interiorizzato. Il silenzio è indispensabile, a qualunque età e in qualsiasi condizione, per la costruzione della propria vita interiore, del luogo dove ciascuno ha scelto di abitare.
La mia interiorità affonda nel più profondo di me stesso, là dove ci sono le radici della mia vita, dov’è la mia vera casa. E il silenzio diventa la possibilità di guardarmi dentro senza bisogno di salvare la faccia, di recitare la commedia, di barare.
Il silenzio è il luogo più intimo dell’incontro e della comunione. Le cose che non possono dirsi, diventano udibili nel silenzio. Invece di essere una fuga dalla realtà, come lo si crede troppo spesso, il silenzio è una conquista da rifare giorno per giorno. Il silenzio non è un cimitero, ma un cammino, una traversata. Una strada comune che va ben oltre le parole. Il Vangelo non è forse riuscito a fare del silenzio di Dio una Parola da vivere e da condividere?
L’estate ormai alle porte giunge come occasione propizia per momenti di distensione fisica e spirituale favoriti dal silenzio, ma per ascoltare la ‘Parola’.
Permettete un consiglio?
Dal 16 aprile scorso è disponibile un libro riuscito, avvincente e importante, ma anche una riflessione intellettuale con cui vale la pena confrontarsi. Ecco, in estrema sintesi, il “Gesù di Nazaret” con cui il cristiano Joseph Ratzinger – da due anni papa Benedetto XVI – si mette ancora in gioco, come da mezzo secolo è abituato a fare con allievi, colleghi, interlocutori.
La chiave del libro sta nella questione, semplice e radicale, dell’immagine di Cristo presente nel Nuovo Testamento: “Non è più logico, anche dal punto di vista storico, che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù abbia fatto saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio?”. Ratzinger risponde di sì a questa domanda, dicendosi del tutto persuaso che il Geù dei vangeli – quello che la ricerca novecentesca ha denominato ‘ il Cristo della fede ‘ – coincida con il Gesù storico.
In una prosa semplice e in molti tratti suggestiva, com’è la parola di Benedetto XVI, il testo segue l’attività pubblica di Gesù in dieci capitoli, dal Battesimo alla Trasfigurazione e alle affermazioni di Gesù su se stesso.
A chi leggerà il libro vanno lasciati lo stupore e il gusto di scoprirne le ricchezze, meditando e studiando: dal divertirsi dei Padri con la simbologia dei numeri alla contrapposizione tra i ‘vangeli’ degli imperatori e quelli di Dio, dalla liberazione degli ‘ordinamenti politici e sociali’ da ogni ‘sacralità’ e dal loro affidamento ‘alla libertà dell’uomo’ all’immagine di Dio ‘né uomo né donna’.
Basti una riflessione tra le tante, tra passato e presente: “Forse qualcuno diventa beato e verrà riconosciuto come giusto da Dio perché ha rispettato secondo coscienza i doveri della vendetta del sangue? Perché si è impegnato con forza per la guerra santa?”. No, risponde Ratzinger: “Dio esige il contrario: esige il risveglio interiore per il suo silenzioso parlarci, che ì presente in noi e ci strappa dalle mere abitudini conducendoci sulla via della verità; esige persone che hanno ‘fame e sete di giustizia’.
Questa è la via aperta a tutti; è la via che approda a Gesù Cristo”.
C’è un’applicazione patristica della parabola del Buon Samaritano che il Papa fa sua. Il ferito derubato e abbandonato lungo la strada è l’uomo, il figlio di Adamo. Il buon samaritano che si ferma a soccorrerlo è Gesù. Egli presta al ferito le prime cure, poi lo porta alla locanda, la Chiesa, incaricata di proseguire l’opera del Maestro. E’ la missione che ci riguarda tutti come Comunità. Ce la riprenderemo meglio il prossimo anno pastorale . . .
Intanto c’è da far silenzio, per ascoltare, capire, amare e vivere.
Buone vacanze.


il tuo parroco, don Arturo

 

 

IL PARROCO

RICONQUISTARE IL SILENZIO
di don Arturo Balduzzi