Editoriale

di Gianni Omodei

 

 

 

Indicazioni pastorali della Chiesa italiana dopo Verona

Il 29 giugno 2007 è stata pubblicata la nota pastorale dell'Episcopato italiano con le indicazioni per la Chiesa italiana scaturite dal 4° Convegno ecclesiale nazionale di Verona. Il documento – vien detto dal Presidente Bagnasco nella presentazione - è affidato “alle comunità ecclesiali perché, alla luce del cammino condiviso, rinnovino l’impegno a sostenere l’itinerario spirituale ed ecclesiale dei singoli battezzati, chiamati ad essere in questo tempo e in questo nostro amato Paese Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo.”.
I vescovi italiani pongono all'attenzione delle chiese locali alcune proposte in vista delle scelte operative che ciascuna di esse è chiamata a compiere, partendo dalle parole pronunciate a del Papa Benedetto XVI a Verona. L'Italia costituisce “un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione”, resa forte dal radicamento delle tradizioni cristiane nel tessuto popolare, dal grande sforzo di evangelizzazione e catechesi specialmente verso i giovani e le famiglie.
Sulla base di questo terreno favorevole nella “Nota” vengono individuate tre scelte di fondo:
1) il primato di Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa;
2) la testimonianza, personale e comunitaria, come forma dell’esistenza cristiana;
3) una pastorale che converge sull’unità della persona.
Riguardo alla prima scelta nel documento viene sottolineato che il testimone è di Gesù risorto, cioè appartiene a Lui e proprio in quanto tale può parlare di Lui, farlo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza. Ma, come vivere, oggi, il nostro appartenere a Lui? In una stagione difficile e complessa, i vescovi italiani dicono che la via è quella di ritrovare l’essenziale della nostra vita nel cuore della fede, dove c’è il primato di Dio e del suo amore, di riconoscere le priorità nel cammino del credente e della comunità che consistono nel riservare il giusto spazio alla Parola di Dio, nel vivere l’Eucaristia, centro propulsore della vita individuale e comunitaria (l’Eucaristia domenicale è il cuore pulsante della settimana, sacramento che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti), tradurre l’Eucaristia in amore concretamente praticato (testimonianza e carità).
Dall’essere “di” Gesù deriva il profilo di un cristiano capace di offrire speranza, teso a dare un di più di umanità alla storia. La speranza cristiana non è solo un desiderio: è una realtà concreta, un esercizio storico, personale e comunitario. Essa abita e plasma l’esistenza quotidiana, riportando le attese degli uomini a contatto con l’origine stessa della vita e della giustizia, dell’amore e della pace. Sperare è essere disposti a scorgere l’opera misteriosa di Dio nel tempo e nell'esistenza di ciascuno, illuminandola con le ultime parole del Credo: «Credo la risurrezione della carne e la vita eterna».
La scelta della testimonianza personale e comunitaria consiste nel rendere visibile il grande “sì” della fede. Il “sì” che Dio ha pronunciato e pronuncia sull’uomo trova compimento nel “sì” con cui il credente risponde ogni giorno con la fede nella parola di verità, con la speranza della definitiva sconfitta del male e della morte, con l’amore nei confronti della vita, di ogni persona, del mondo plasmato dalle mani di Dio. I cristiani – vien detto nella Nota - riconoscono e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell’uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l’opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un’apertura che consente di nascere a quella ‘creatura nuova’ che è il frutto dello Spirito Santo. Comunicare il Vangelo richiede di esaminare ogni cosa per tenere ciò che è buono, accompagnando il nostro discernimento con una proposta profondamente positiva, incoraggiante, essenziale, carica di futuro. In tal modo, la Chiesa non cesserà di essere amica dell’uomo e allo stesso tempo segno di contraddizione, presenza profetica di qualcosa non riconducibile agli orizzonti mondani.
La testimonianza si traduce quindi nella scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di servizio; scelta incisiva in una stagione segnata dal prevalere delle emozioni sulla coscienza e sulla razionalità. Testimonianza che si deve realizzare soprattutto nei cinque ambiti che erano stati individuati a Verona e cioè:
Vita affettiva, comunicando il Vangelo dell’amore nella e attraverso l’esperienza umana degli affetti, accompagnando la vita delle persone con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore, reagendo al diffuso “analfabetismo affettivo” con percorsi formativi adeguati e una vita familiare ed ecclesiale fondata su relazioni profonde;
Lavoro e festa, operando in modo che l’organizzazione del lavoro sia attenta ai tempi della famiglia e che si ripristini un rinnovato ed equilibrato rapporto tra lavoro e festa, intesa non solo come occasione di riposo, ma come evento della gratuità e del dono, occasione di servizio alla comunità. In questo ambito è necessario essere consapevoli delle fatiche quotidiane delle persone, delle sfide che derivano dalla precarietà del lavoro, soprattutto giovanile, dalla disoccupazione, dalla difficoltà del reinserimento lavorativo in età adulta, dallo sfruttamento della manodopera dei minori, delle donne, degli immigrati;
Fragilità umana, avendo ben presente che in un’epoca che coltiva il mito dell’efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni della fragilità umana sono spesso nascoste ma nient’affatto superate;
Tradizione, nella trasmissione del proprio patrimonio spirituale e culturale ogni generazione si misura con un compito di straordinaria importanza e delicatezza. Alla famiglia deve essere riconosciuto il ruolo primario nella trasmissione dei valori fondamentali della vita e nell’educazione alla fede e all’amore. La parrocchia costituisce una palestra di educazione permanente alla fede e alla comunione e perciò anche un ambito di confronto, apprendimento di linguaggi e comportamenti, in cui un ruolo decisivo va riconosciuto agli itinerari catechistici. In tale prospettiva, essa è chiamata a interagire con la ricca e variegata esperienza formativa delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali;
Cittadinanza. Agli occhi della storia non si può non riconoscere che i cattolici hanno dato un apporto fondamentale alla società italiana e alla sua crescita, nella prospettiva del bene comune. È necessario alimentare la consapevolezza, non solo fra i cattolici ma in tutti gli italiani, del fatto che la presenza cattolica – come pensiero, come cultura, come esperienza politica e sociale – è stata fattore fondamentale e imprescindibile nella storia del Paese. Se oggi la convivenza civile mostra segni di lacerazione, ai credenti – e ai fedeli laici in modo particolare – si chiede di contribuire allo sviluppo di un sentire condiviso, sia con la doverosa enunciazione dei principi, sia esprimendo nei fatti un approccio alla realtà sociale ispirato alla speranza cristiana.
Appare molto significativo, inoltre, che nella Nota della CEI venga inclusa fra le testimonianze di amore più importanti il progetto culturale orientato in senso cristiano, individuando in esso lo strumento per eccellenza di un nuovo incontro tra fede e ragione, attraverso il quale i credenti possono mostrare a tutti che la vita cristiana è possibile oggi, è ragionevole, è realizzabile. I vescovi italiani infine invitano le comunità locali ad impegnarsi in un “cantiere” di rinnovamento pastorale. L’ascolto della vita delle comunità cristiane ha permesso di cogliere una forte istanza di rinnovamento. Se negli ultimi anni l'azione pastorale è stata principalmente imperniata sulla missionarietà, oggi emerge con chiarezza anche un’ulteriore esigenza: quella di una pastorale più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria. Le prospettive verso cui muoversi riguardano la centralità della persona e della vita e la qualità delle relazioni all’interno delle comunità. L’attuale impostazione pastorale, centrata prevalentemente sui tre compiti fondamentali della Chiesa (l’annuncio del Vangelo, la liturgia e la testimonianza della carità) non di rado può apparire troppo settoriale e non è sempre in grado di cogliere in maniera efficace le domande profonde delle persone. Mettere la persona al centro costituisce una chiave per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Questo cammino avrà avuto successo se tutti potranno incontrare cristiani e comunità credenti e credibili

Gianni Omodei