Cristianesimo come religione civile?
Nell’ambito del dibattito culturale
che caratterizza il nostro tempo a me sembra emerga una sostanziale
condivisione dell’idea che l’attuale società sia disorientata e paia aver
smarrito il senso della storia e il sapore della esistenza. Eventi e
fenomeni - alcuni veramente inquietanti - che la contraddistinguono sembrano
destinati a segnare fortemente il futuro. E’ difficile capire se siamo alla
fine di un’epoca e all’alba di nuove forme di convivenza, di nuovi modi di
pensare, di giudicare, di orientare, di organizzare l’esistenza. La
tecnologia e la scienza, l’economia e la politica stanno ridisegnando i
confini tradizionali del sapere e del vivere; nuovi popoli si affacciano
all’orizzonte e sembrano spostare “luoghi e concetti” del potere politico e
economico verso direzioni non ancora chiare e definibili. Se ciò vale per il
contesto sociale, non meno importanti sono gli scenari che riguardano
l’individuo, il rapporto con se stesso e con gli altri; tra questi,
particolarmente rilevante, mi pare la concezione e la valorizzazione del
corpo.
Da tale stato di cose ne consegue che l’uomo, fino a ieri sicuro della
propria identità e fiducioso di potersi liberare da solo e di raggiungere la
felicità con le proprie forze, si accorge che tutte le sue conquiste sul
piano tecnico e scientifico gli consentono sì di avere tutto - o, almeno,
molto - ma non bastano a dargli le risposte di cui è alla ricerca. Per
questo giunge a mettere in discussione anche il senso della vita e la
propria identità.
Non può sorprendere perciò il fatto che nella cultura occidentale,
secolarizzata e laicizzata, da qualche tempo si assista ad un ritorno di
attenzione verso la religione in genere e verso quella cristiana in
particolare. Ci si rende conto, cioè, che la religione ha una sua importanza
sociale, dà stabilità e coesione alla vita civile, si oppone alla violenza e
favorisce la pace.
Una siffatta concezione, in sé positiva, è da un lato dovuta al superamento,
nei fatti e nei principi, di una nozione di laicità stampo individualistico
e radicale, che ritiene di poter fare meno di Dio. “Questo tipo di pensiero
- ha detto Giovanni Paolo II nella esortazione Ecclesia in Europa - ha
portato a considerare l’uomo come il centro assoluto della realtà,
facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che
non è l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l’uomo”. Dall’altro lato, è andato
alla deriva il concetto illuministico che la ragione fosse in grado di
fornire risposte adeguate a tutte le problematiche dell’umanità. L’egoismo
delle società opulente e le tragedie, che hanno segnato la storia del secolo
scorso e continuano a segnare anche questi primi anni del terzo millennio,
hanno favorito paradossalmente la rinascita del bisogno di religione. A
fronte di questi aspetti positivi bisogna però registrare anche il rischio
che la religione così intesa sia vista, soprattutto, come un utile supporto
al raggiungimento di finalità civili, con possibili nuove
strumentalizzazioni nel rapporto tra Stato e Chiesa. Ciò che, in questa
impostazione, sembra venire ricercato è un rapporto di mutuo sostegno tra
cristianesimo e politica; rapporto motivato dallo stato di precarietà in cui
ambedue si trovano. Il dialogo si sviluppa in termini di mera funzionalità:
la politica ricorre infatti alla religione cristiana per difendere
l'identità dell'occidente dall'incursione di altre tradizioni culturali e
religiose, che si presentano con una identità forte; mentre, a sua volta, il
cristianesimo, divenuto minoritario, sembra ricuperare, nell'appoggio dato a
una politica particolare, la propria visibilità storica e la possibilità di
influire sui processi che guidano la vita collettiva.
E’ un percorso verso cui spingono, ad esempio, i cosiddetti «atei devoti»,
che sono intellettuali e figure istituzionali di spicco che, pur
dichiarandosi non credenti - e magari avendo avversato la Chiesa fino a ieri
- oggi, di fronte ai processi di secolarizzazione e di frammentazione
spirituale che accompagnano l’affermarsi di una società multietnica e
multireligiosa, vedono nel cristianesimo un baluardo a difesa della identità
e della cultura occidentale, con la quale lo identificano.
Questa impostazione è stata denunciata da Enzo Bianchi della Comunità di
Bose che nella Lettera agli amici dell'Avvento 2003, sosteneva: «Oggi ci
pare che la tentazione più seria che colpisce i testimoni del Signore Gesù,
fattosi uomo come noi, morto e risorto per ristabilire la piena comunione
dell'umanità e del cosmo intero con Dio venga, dall'irresistibile fascino
della "religione civile". È il fascino di un cristianesimo visto
innanzitutto come cultura di un popolo, addirittura di un'identità
nazionale, che assicura il ricompattarsi di una società e che si ammanta di
evidenti risultati culturali: una presenza cristiana che inevitabilmente
apparirà sempre più come la declinazione dell'equazione "cristianesimo
uguale Occidente". ... C'è una richiesta - soprattutto da parte di quanti,
politici o intellettuali, in massima parte estranei alla vita cristiana,
ritengono di dover guidare le trasformazioni - di poter disporre dei
cosiddetti valori cristiani come di una sorta di "vaso degli dei" cui
attingere per mantenere in buona salute la società, per darle unità di
fronte ai pericoli esterni, per fornire coesione e ragioni trascendenti di
fronte al nemico che si profila all'orizzonte o che viene creato! È così che
la Chiesa viene ridotta a una potente lobby etico-sociale.”. Ferma restando
la positività del dialogo e dell’incontro tra cristianesimo e politica,
risulta evidente, qualora si dovesse creare una situazione come quella sopra
delineata e auspicata dagli «atei devoti», il pericolo di un “ingabbiamento”
della Chiesa di Cristo, che ha una missione universale e il dovere/diritto
di essere libera per trasmettere il suo messaggio a tutti gli uomini.
E allora, in questo contesto, quale è il ruolo - o meglio la vocazione -
della Chiesa e dei credenti? Alla Chiesa non compete certo la soluzione
tecnica dei problemi politici, ma essa ha piuttosto la funzione di fornire
ai credenti in primis ed a tutti gli uomini un orizzonte di valori, anche
trascendentali, dai quali ricavare la capacità di costruire piattaforme di
possibile convivenza civile ad essi ispirata. Dalla religione e
conseguentemente dalla fede non si può ricavare - come talvolta si è preteso
- un progetto politico ben definito ma solamente una “ispirazione” per
l’operare degli uomini di fede. Se, perciò, è necessario respingere la
tentazione di rendere funzionale la religione alla politica, è ancora più
necessario che il cristianesimo non si trasformi in sostegno ad un
determinato sistema culturale e ideologico.
Per concludere, l'ipotesi della «religione civile» è pertanto radicalmente
sconfessata non solo per l'autonomia che la politica ha conquistato, ma
anche - e soprattutto - in ragione della specificità del messaggio
evangelico, dell’impossibilità di ridurlo ad modello culturale, qualunque
esso sia. Solo a queste condizioni la proposta cristiana può ricuperare la
sua incidenza sulla realtà sociale e politica, trasformandosi in coscienza
critica di tutti i sistemi e di tutte le ideologie storiche e suscitare
l'attesa per il Regno che deve venire. Si deve sempre tener presente che
qualsiasi visione strumentale del cristianesimo spegne di fatto la profezia
evangelica.
Gianni Omodei