Editoriale

di Gianni Omodei

 

 

 

Cristianesimo come religione civile?

Nell’ambito del dibattito culturale che caratterizza il nostro tempo a me sembra emerga una sostanziale condivisione dell’idea che l’attuale società sia disorientata e paia aver smarrito il senso della storia e il sapore della esistenza. Eventi e fenomeni - alcuni veramente inquietanti - che la contraddistinguono sembrano destinati a segnare fortemente il futuro. E’ difficile capire se siamo alla fine di un’epoca e all’alba di nuove forme di convivenza, di nuovi modi di pensare, di giudicare, di orientare, di organizzare l’esistenza. La tecnologia e la scienza, l’economia e la politica stanno ridisegnando i confini tradizionali del sapere e del vivere; nuovi popoli si affacciano all’orizzonte e sembrano spostare “luoghi e concetti” del potere politico e economico verso direzioni non ancora chiare e definibili. Se ciò vale per il contesto sociale, non meno importanti sono gli scenari che riguardano l’individuo, il rapporto con se stesso e con gli altri; tra questi, particolarmente rilevante, mi pare la concezione e la valorizzazione del corpo.
Da tale stato di cose ne consegue che l’uomo, fino a ieri sicuro della propria identità e fiducioso di potersi liberare da solo e di raggiungere la felicità con le proprie forze, si accorge che tutte le sue conquiste sul piano tecnico e scientifico gli consentono sì di avere tutto - o, almeno, molto - ma non bastano a dargli le risposte di cui è alla ricerca. Per questo giunge a mettere in discussione anche il senso della vita e la propria identità.
Non può sorprendere perciò il fatto che nella cultura occidentale, secolarizzata e laicizzata, da qualche tempo si assista ad un ritorno di attenzione verso la religione in genere e verso quella cristiana in particolare. Ci si rende conto, cioè, che la religione ha una sua importanza sociale, dà stabilità e coesione alla vita civile, si oppone alla violenza e favorisce la pace.
Una siffatta concezione, in sé positiva, è da un lato dovuta al superamento, nei fatti e nei principi, di una nozione di laicità stampo individualistico e radicale, che ritiene di poter fare meno di Dio. “Questo tipo di pensiero - ha detto Giovanni Paolo II nella esortazione Ecclesia in Europa - ha portato a considerare l’uomo come il centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l’uomo”. Dall’altro lato, è andato alla deriva il concetto illuministico che la ragione fosse in grado di fornire risposte adeguate a tutte le problematiche dell’umanità. L’egoismo delle società opulente e le tragedie, che hanno segnato la storia del secolo scorso e continuano a segnare anche questi primi anni del terzo millennio, hanno favorito paradossalmente la rinascita del bisogno di religione. A fronte di questi aspetti positivi bisogna però registrare anche il rischio che la religione così intesa sia vista, soprattutto, come un utile supporto al raggiungimento di finalità civili, con possibili nuove strumentalizzazioni nel rapporto tra Stato e Chiesa. Ciò che, in questa impostazione, sembra venire ricercato è un rapporto di mutuo sostegno tra cristianesimo e politica; rapporto motivato dallo stato di precarietà in cui ambedue si trovano. Il dialogo si sviluppa in termini di mera funzionalità: la politica ricorre infatti alla religione cristiana per difendere l'identità dell'occidente dall'incursione di altre tradizioni culturali e religiose, che si presentano con una identità forte; mentre, a sua volta, il cristianesimo, divenuto minoritario, sembra ricuperare, nell'appoggio dato a una politica particolare, la propria visibilità storica e la possibilità di influire sui processi che guidano la vita collettiva.
E’ un percorso verso cui spingono, ad esempio, i cosiddetti «atei devoti», che sono intellettuali e figure istituzionali di spicco che, pur dichiarandosi non credenti - e magari avendo avversato la Chiesa fino a ieri - oggi, di fronte ai processi di secolarizzazione e di frammentazione spirituale che accompagnano l’affermarsi di una società multietnica e multireligiosa, vedono nel cristianesimo un baluardo a difesa della identità e della cultura occidentale, con la quale lo identificano.
Questa impostazione è stata denunciata da Enzo Bianchi della Comunità di Bose che nella Lettera agli amici dell'Avvento 2003, sosteneva: «Oggi ci pare che la tentazione più seria che colpisce i testimoni del Signore Gesù, fattosi uomo come noi, morto e risorto per ristabilire la piena comunione dell'umanità e del cosmo intero con Dio venga, dall'irresistibile fascino della "religione civile". È il fascino di un cristianesimo visto innanzitutto come cultura di un popolo, addirittura di un'identità nazionale, che assicura il ricompattarsi di una società e che si ammanta di evidenti risultati culturali: una presenza cristiana che inevitabilmente apparirà sempre più come la declinazione dell'equazione "cristianesimo uguale Occidente". ... C'è una richiesta - soprattutto da parte di quanti, politici o intellettuali, in massima parte estranei alla vita cristiana, ritengono di dover guidare le trasformazioni - di poter disporre dei cosiddetti valori cristiani come di una sorta di "vaso degli dei" cui attingere per mantenere in buona salute la società, per darle unità di fronte ai pericoli esterni, per fornire coesione e ragioni trascendenti di fronte al nemico che si profila all'orizzonte o che viene creato! È così che la Chiesa viene ridotta a una potente lobby etico-sociale.”. Ferma restando la positività del dialogo e dell’incontro tra cristianesimo e politica, risulta evidente, qualora si dovesse creare una situazione come quella sopra delineata e auspicata dagli «atei devoti», il pericolo di un “ingabbiamento” della Chiesa di Cristo, che ha una missione universale e il dovere/diritto di essere libera per trasmettere il suo messaggio a tutti gli uomini.
E allora, in questo contesto, quale è il ruolo - o meglio la vocazione - della Chiesa e dei credenti? Alla Chiesa non compete certo la soluzione tecnica dei problemi politici, ma essa ha piuttosto la funzione di fornire ai credenti in primis ed a tutti gli uomini un orizzonte di valori, anche trascendentali, dai quali ricavare la capacità di costruire piattaforme di possibile convivenza civile ad essi ispirata. Dalla religione e conseguentemente dalla fede non si può ricavare - come talvolta si è preteso - un progetto politico ben definito ma solamente una “ispirazione” per l’operare degli uomini di fede. Se, perciò, è necessario respingere la tentazione di rendere funzionale la religione alla politica, è ancora più necessario che il cristianesimo non si trasformi in sostegno ad un determinato sistema culturale e ideologico.
Per concludere, l'ipotesi della «religione civile» è pertanto radicalmente sconfessata non solo per l'autonomia che la politica ha conquistato, ma anche - e soprattutto - in ragione della specificità del messaggio evangelico, dell’impossibilità di ridurlo ad modello culturale, qualunque esso sia. Solo a queste condizioni la proposta cristiana può ricuperare la sua incidenza sulla realtà sociale e politica, trasformandosi in coscienza critica di tutti i sistemi e di tutte le ideologie storiche e suscitare l'attesa per il Regno che deve venire. Si deve sempre tener presente che qualsiasi visione strumentale del cristianesimo spegne di fatto la profezia evangelica.

Gianni Omodei