Editoriale

di Gianni Omodei

 

 

 

Le lettere di Madre Teresa: una via per la fede

Vasta eco ha avuto in questi giorni la pubblicazione di alcuni passi delle lettere di Madre Teresa di Calcutta raccolte in un libro che verrà pubblicato a settembre e che è stato curato dal reverendo Brian Kolodiejchuk postulatore della causa di canonizzazione. Le lettere raccolte faranno parte del materiale che servirà alla causa. Gli stralci pubblicati possono provocare inquietudine. Ma è prevalsa comunque la decisione che valesse la pena di correre il rischio dello “scandalo”, in primo luogo, perché i credenti, più che la tentazione dello scoramento, potrebbero avere il conforto di un esempio nel quale magari ritrovare la propria situazione di “silenzio e di vuoto” di fronte a Dio provata da Madre Teresa, il conforto di sapere che anche una santa ha dovuto lottar tanto, e non si è arresa. In secondo luogo, perché la stessa Madre Teresa indica la luce nel buio: se il Cristo senza peccato, sulla Croce, grida “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, anche lei può e deve condividere la stessa pena.
Non si è trattato di una crisi spirituale passeggera, bensì di un tormento durato per circa 50 anni; crisi comune a tanti santi e mistici di tutti i tempi; per citarne alcuni: Sant'Agostino, San Giovanni della Croce, Santa Teresa di Lisieux, che sul letto di morte mormorava: «Non credo alla vita eterna...». A confermare questa crisi basta un passaggio, scelto far i tanti: “Signore, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Io ero la figlia del Tuo amore, divenuta ora la più odiata, quella che Tu hai respinto, che hai gettato via come non voluta e non amata. Io chiamo, io mi aggrappo, io voglio, ma non c’è Alcuno che risponda. Nessuno, nessuno. Sola... Dov’è la mia Fede? Perfino quaggiù nel profondo, null’altro che vuoto e oscurità. Mio Dio, come fa male questa pena sconosciuta... Io non ho Fede. Non oso esprimere le parole e i pensieri che si affollano nel mio cuore e mi fanno soffrire un’agonia indicibile. Ho dentro di me così tante domande senza risposta che temo di rivelarle per paura di dire una bestemmia: se ciò accadrà, mio Dio, Ti prego perdonami, quando cerco di elevare il mio pensiero al cielo, è così schiacciante il vuoto, che quegli stessi pensieri ritornano come pugnali acuminati e feriscono la mia anima. Mi vien detto che Dio mi ama. E tuttavia la realtà dell’oscurità, e del freddo e del vuoto, è così grande, che nulla tocca la mia anima .... C’è un buio terribile in me, ed è così da sempre.”.
Molti santi sono tali non perché in possesso di certezze incrollabili e di fede assoluta, ma perché nel dubbio, nel buio e nel silenzio di Dio hanno coltivato l'ansia di ricerca e si sono mantenuti fedeli agli insegnamenti di Cristo e della sua Chiesa.
Credo che in questo stia il segreto dell'essere cristiani e santi: avere cioè, anche quando la fede individuale vacilla, una “fede di Chiesa”; con tale prospettiva anche l'esempio di una santa moderna come Madre Teresa può tradursi in una testimonianza delle solide basi e non in un pio ma sterile esercizio di ammirazione e devozione.
“Fede di chiesa” significa che i fedeli riconoscono alla Chiesa a cui appartengono la facoltà di dare indicazioni sulle questioni di fondo e sulle ragioni ultime, ne condividono il credo, riconoscono la funzione essenziale dei mezzi di salvezza (i sacramenti) da essa amministrati, sono convinti della necessità della sua mediazione tra individuo e verità trascendentali, sostengono la sua autorevolezza in campo etico in quanto guida spirituale.
E proprio questo il tipo di religiosità e di fede oggi messo in discussione o non accettato. Una recente indagine ha messo in evidenza come a fronte di una stabilità della credenza nell'esistenza di Dio (80-90% in Europa Occidentale) si assiste ad una vasta area di incertezza per quanto riguarda Gesù Cristo (50% convinti e 3% incerti) che aumenta ancor di più per quanto riguarda la vita dopo la morte (solo il 29,6% crede alla risurrezione personale). Si tende inoltre a sottovalutare l'importanza della frequenza regolare alla messa, anche da parte degli stessi praticanti; viene infatti collocata all'ultimo posto in un elenco di dieci aspetti che qualificano il cristiano.
In altre parole si assiste ad una sempre maggiore “privatizzazione” della fede e della pratica religiosa; cosa che vuol dire che molti (non la maggioranza) riconoscono alla Chiesa il ruolo di autorità legittimata a definire le regole e i comportamenti da evitare, ma quanto alla propria vita ed alle proprie scelte è l'individuo che definisce cosa fare e come agire. Una conferma di questa “privatizzazione” può essere individuata nell'evidente silenzio e disinteresse con cui vengono accolti gli insegnamenti del magistero che riguardano la sfera delle scelte personali, senza opposizione ma anche senza reale coinvolgimento ed esplicito sostegno.
Ritengo che i temi qui sfiorati meritino più attenzione e un maggiore approfondimento da parte di tutti quelli che oggi si dicono cristiani, anche se sembrano aver sempre più ragione coloro che sostengono che, al pari di tante altre parole, il termine cristiano ha smarrito il suo più autentico significato.

Gianni Omodei