Anotonio Pellizzari: missionario della cultura
Sono numerose le persone che in tanti anni di storia hanno segnato da protagonisti la vita della nostra Città. Di tanti è ancora vivo il ricordo, di altri si è persa un po la memoria. Tutti meriterebbero qualche pagina di testimonianza. Per questo vogliamo iniziare, con il presente "bollettino", una serie di interventi che riportino alla mente alcune figure che hanno segnato la nostra realtà. E lo facciamo con un breve profilo di Antonio Pellizzari, il figlio di Giacomo, fondatore delle gloriose Officine, di cui questanno ricorre il 40° anniversario della morte. Riportiamo in sintesi la commemorazione che è stata letta in Consiglio comunale dal Sindaco. E un atto di omaggio alluomo e insieme una riflessione carica di significati e di insegnamenti. Oggi si pone anche come un augurio di tutta lAmministrazione civica ai tanti arzignanesi lontani per un Natale e un nuovo anno da vivere nella riscoperta dei valori che fanno grande la dignità umana di ciascuno.
"Quando ha proposto nella nostra città la costruzione del Teatro Sociale, Antonio Pellizzari aveva meno di trent'anni. Oggi, di chi ha trent'anni, si dice che è un ragazzo. Di Antonio Pellizzari, figlio di Giacomo, non si è mai considerata la giovinezza, quasi che fosse sempre stato un uomo maturo, con enormi responsabilità, con intorno amici e collaboratori fedelissimi, con un consenso popolare espresso in diversi modi, soprattutto con la partecipazione alle sue proposte, alle sue iniziative.
E non sono certo mancate nei suoi confronti anche le opposizioni, le critiche, talvolta le basse ironie. Si sa che i buoni, i generosi, specialmente quando sono in posizioni di comando, destano perfino invidie. Su di lui, da quel tempo, è sceso progressivamente, come un velo, una specie di incerta dimenticanza che periodicamente viene rischiarata da qualche tesi di laurea, da qualche studio anche internazionale, da qualche riferimento particolare al suo operare che è stato senza dubbio poliedrico e assolutamente innovativo.
E' tempo allora che Arzignano dica ufficialmente grazie a questo giovane industriale morto nel 1958, l'undici di luglio a soli 35 anni.
Arzignano e Antonio Pellizzari, dunque. La Scuola di Arzignano era in quegli anni un esempio nel mondo, un esempio studiato e discusso, ammirato e criticato. E il giovane Antonio era additato come un profeta, un "missionario della cultura", come ebbe a definirlo don Nilo Rigotto che proprio in quel tempo era al suo primo impegno di prete come cappellano di Ognissanti.
Missionario dell'arte e della cultura in una città che dopo la guerra costruiva il suo futuro sui binari consueti: il lavoro della grande officina meccanica, le filande alle ultime battute, le nuove timide imprese e la concia consolidata dalla tradizione di poche famiglie.
In Antonio Pellizzari, unico figlio maschio del commendatore Giacomo, hanno voluto vedere in quegli anni tutte le espressioni possibili, anche le più opposte e contraddittorie. E' ormai entrata nella letteratura, come un classico, la pagina che lo scrittore Guido Piovene ha dedicato ad Arzignano e a Pellizzari nel suo celebre libro "Viaggio in Italia".
Ma Antonio si era già espresso nell'azienda paterna con azioni coraggiose, con gesti innovatori, rivelatori soprattutto della sua sensibilissima attenzione per l'umanità sofferente, gesti e azioni contro le ingiustizie, pensieri e desideri di pace e di armonia tra la gente. Era stato lui a voler mitigare i rigori delle epurazioni. " Se sono uomini competenti e utili all'azienda", aveva detto assumendo nuovi tecnici che il Partito Comunista non voleva, " non capisco perché, scontata la loro pena, non debbano trovare un giusto lavoro". Poi gli venne costruita intorno l'aurea di uomo di sinistra, forse anche perché era dalla parte dei poveri, perfino dei poveracci, gente che incontrava camminando per le vie della città nelle sue notti insonni e che il giorno dopo assumeva nell'officina. E nonostante l'immancabile difficoltà economica degli anni subito seguenti alla guerra, eccolo riprendere in fabbrica tutti i reduci, gli scampati dai campi di concentramento, i ritornati dalla tragedia che aveva sconvolto il mondo. Così la Pellizzari, proprio per merito suo, talvolta anche contro il parere del padre Giacomo, arrivò a quei tremila dipendenti che dovevano poi confermare, per abilità nel lavoro, per varie specializzazioni e ammirevole impegno, la grande voglia di lavorare bene della nostra gente, della valle tutta e degli immediati dintorni.
Proprio in seguito a questo suo impegno, a questa sua volontà di procurare lavoro e dignità di vita alla gente che gli stava intorno, venne pressante in lui anche il desiderio di un miglioramento culturale.
Dobbiamo vederlo così, Antonio Pellizzari, in questa veste che Þ l'autentica e indiscutibile analisi della sua personalità, della sua presenza in città per una decina d'anni intensamente vissuti e, non possiamo non dirlo, anche visibilmente sofferti...
Riportiamo una sua dichiarazione che oggi può venire a illuminarci come una specie di testamento spirituale, che allora fu un impegno programmatico.
Ecco le sue parole: " La musica, le arti figurative, il cinema, il teatro, la cultura insomma, non sono attività secondarie e staccate dalla vita dell'uomo; sono esse stesse l'uomo. E come il lavoro tende a risolvere il problema della vita di ogni giorno, così lo studio e la comprensione del linguaggio delle arti hanno come fine l'appagamento di quelle esigenze interiori che per l'uomo, per un costituirsi più armonico e unitario della sua personalità, non sono meno importanti". In prima fila, nel grande e nuovissimo Teatro Sociale, c'erano sempre gli operai, gli impiegati che, e anche questo Þ un esempio da ricordare, pagavano il biglietto come scelta di partecipazione personale. "Niente posti riservati o privilegiati", era la regola per i concerti, per le rappresentazioni teatrali, per le conferenze, per gli incontri culturali. Che lezione anche per noi!
Accanto alla musica classica proponeva il jazz, le espressioni musicali moderne, contemporanee, come dire quotidiane; accanto all'attività dell'orchestra con concerti periodici, c'erano concerti solistici e cameristici. Poi mostre e conferenze, pubblicazioni impostate dai grandi uomini di cultura del tempo, uomini che erano l'espressione di tutte le libertà, di tutte le scelte, di tutti i pensieri filosofici. Da qui l'insofferenza e l'opposizione di molta gente, del PCI, della DC e anche della Chiesa che vedeva in Pellizzari l'uomo non imbrigliato e non imbrigliabile, quasi un uomo pericoloso perché tendeva soprattutto a far raggiungere, anche a chi non aveva avuto la fortuna o la possibilità di studiare, la coscienza di tutto.
Antonio Pellizzari istituì la biblioteca per la città; chiamò conferenzieri, giornalisti, artisti di tutte le tendenze a raccontare la fatica e la felicità della cultura, dello studio, dell'aggiornamento quotidiano. Anche lo sport, col potenziamento della squadra di calcio, entrò nel novero delle sue attenzioni. E non trascurò nemmeno l'edilizia per una dignitosa sistemazione delle famiglie che faticavano a trovare casa. Sono stati anni esaltanti, meravigliosi. Il Teatro Sociale era il simbolo cittadino della novità e del coraggio, ma anche della speranza collettiva. Era là, dove è tuttora, il nuovissimo teatro, ma sorgeva isolato, solitario, con una facciata neoclassica, semplice e armoniosa insieme. Mille e più posti per mille e più persone che di sera o di pomeriggio crescevano e miglioravano nel nome della cultura e dell'arte. E' stato così per quasi cinque anni.Per ricordare Antonio Pellizzari, ci sono state fatte tante e diverse proposte. Ma per quanto potessimo voler organizzare o inventare, niente sarebbe degno della sua grandezza. Le persone che gli sono state vicine, e che ancora oggi vivono tra noi, molti suoi dipendenti oggi pensionati ci hanno indotto a ricordarlo così, con le parole e con la commozione della riconoscenza.
Quando negli ultimi giorni del 1955 morì il padre Giacomo, il fondatore, il realizzatore della grande industria famosa nel mondo, Antonio, che già era addentro ai problemi dell'azienda, si trovò caricato di una responsabilità immensa, si trovò praticamente solo davanti al futuro. Il primo pensiero fu per le sue maestranze, per gli operai, per gli impiegati, per i dirigenti di settore, e anche per quella parte di popolazione che viveva in quello che potremmo chiamare l'indotto. Lasciando in secondo ordine l'organizzazione della Scuola, si buttò a capofitto nei problemi della grande officina. Bisognava completare l'opera di ammodernamento dei macchinari; bisognava tagliare con urgenza, per improrogabili esigenze bancarie, i rami non molto produttivi di Vicenza e di Montecchio Maggiore; bisognava creare un nuovo settore per la nascente era dell'elettronica. E il poco più che trentenne industriale, con la salute poco sicura per varie complicazioni renali, non conobbe orari e soste nel lavoro. Così fino alla sua morte, avvenuta per emorragia interna dopo una delicata operazione ai reni. Quella sera accorse il nostro primario Volpato insieme a monsignor Gemo di Ognissanti. Il referto medico fu indiscutibile, e non si può mettere in dubbio la grande professionalità del professor Volpato. Questo va detto con decisione perché, come era accaduto per altre ragioni, ci fu anche chi fece supposizioni gratuite.
L'officina, grazie a lui, era in un delicato momento di trasformazione e rinascita. Arzignano tutta, per altri versi, si stava muovendo verso il futuro dell'industria conciaria; e non è poi così difficile accostare la grande liberazione mentale prodotta da Antonio Pellizzari alla creatività, all'inventività imprenditoriale che caratterizzò la fine degli anni cinquanta, inventività e creatività che ancora ci contraddistinguono nel mondo.
Egidio Motterle