IL GIUBILEO:
L'OGGI DI CRISTO

Il 2000 ci interpella a forti esperienze di fede
ed a nuovi areopaghi

Lettera Pastorale alla Chiesa Cosentino-Bisignanese


INDICE

          INTRODUZIONE

          "NON LASCIATEVI ALLONTANARE DALLA SPERANZA"
        -
Il Cristiano è battezzato per la speranza
        - Gesù è la verità della speranza
        - Ti segreto del Giubileo
        - La vera proposta del Giubileo

        3 IL 2000: UN MOMENTO NEL TEMPO COMPIUTO ....
        - Gesù, sola vera salvezza della storia
        - Il tempo "epifania"
        - !l Giubileo: l'oggi di Cristo
        - Cristo, il Signore, Giubileo della storia

          IL FINE MILLENNIO, IN CRISTO, NON E' TRAMONTO, MA AURORA
         - I segni di Dio nel Giubileo del 2000
         - Il XX secolo
         - Il millennio che si chiude
        
- L'ethos dell'uomo contemporaneo alle soglie del 2000.. .
        
- Le radici della crisi dell'uomo contemporaneo
         - Le attese di oggi

          LA GRANDE INDULGENZA DEL GIUBILEO PER UN FUTURO DI
          RICONCILIAZIONE
         - Il senso dell'indulgenza
         - L'impegno dell'indulgenza
         - Gli spazi della riconciliazione

          RICONCILIAZIONE CON DIO
         - Riscoprire e purificare il nostro rapporto con Dioì
         - Dio è principio, senso e compimento di tutto
         - Esame di coscienza per tutti sul rapporto con Dio

           RICONCILIAZIONE CON GLI ALTRI 
          - L'unità tra gli uomini, riflesso della comunione Trinitaria
          - Spazi di riconciliazione con gli altri
          - L'interpersonalità
          - La familiarità
          - L'ecclesialità
          - La nostra Chiesa di fronte al Giubileo
          - Ecumenismo per l'unità dei cristiani
          - Il dialogo con le altre religioni del mondo
          - Una via cristiana: la misericordia
          - La nostra carità operi per la giustizia

           LA RICONCILIAZIONE CON LA VITA
          - Il Giubileo come ricerca di se stessi

           LA RICONCILIAZIONE CON LA STORIA
          - Lì dovere storico dei cristiani
          - Essere Chiesa per la storia
          - La Chiesa cosentina nel millennio che si chiude
          - Il nuovo areopago della cultura secolare
          - Gli spazi emergenti
          - La politica
          - L'economia
          - La multimedialità

            CONCLUSIONI

  INTRODUZIONE

  NON LASCIATEVI ALLONTANARE DALLA SPERANZA"  (Col. 1, 23)

Il cristiano è battezzato per la speranza

1) Nel 1934, Teilhard de Chardin, in un suo lavoro' annunziava provocatoriamente, uno "sciopero della speranza".
Nel testo dice: "Se... dovesse apparire che la somma della coscienza debba ritornare a zero, senza che se ne possa minimamente raccogliere la segreta essenza, allora, io lo dichiaro, noi ci ritiriamo. Sarà lo sciopero".
E ovvio che questo modo di esprimersi è una forzatura letteraria che non nega ma sottolinea la speranza. Il cristiano è battezzato per la speranza, la porta in sé, la vive, la mostra, la dona.
Quindi se, in questo nostro tempo, come d'altronde in ogni tempo, è in atto il "mistero dell'iniquità" (2Tess. 2,7) noi, pur nella fragilità della nostra fede, non dobbiamo "lasciarci allontanare dalla speranza" (Col. 1,23), che, come dice l'apostolo Paolo, "ci attende nei cieli" e della quale abbiamo udito l'annunzio della parola di verità del Vangelo (ibid. 1,5-6).

Gesù è la verità della speranza

2)11 Vangelo è Gesù, Dio entrato nel tempo. In Lui il tempo, ogni tempo, anche il nostro, è liberato, portato a pienezza, proiettato verso il compimento finale. Con Gesù si è accesa la "verità della speranza" per cui noi corriamo, "ma non come chi è senza meta" (1Cor. 9,26).
Con luminosa sintesi, nella bolla d'indizione del grande Giubileo dell'anno 2000, Incarnationis Mysterium, Giovanni Paolo li annota (n. 1): "La nascita di Gesù a Betlemme non è un fatto che si possa relegare nel passato. Dinanzi a Lui, infatti, si pone l'intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è il "Vivente" (Ap. 1,18), "Colui che è, che era e che viene" (Ap. 1,4). Di fronte a Lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra ed ogni lingua proclamare che Egli è il Signore (cfr. FiI. 2,10-11). Incontrando Cristo, ogni uomo scopre il Mistero della propria vita. Gesù è la vera novità che supera ogni attesa dell'umanità e tale rimarrà per sempre, attraverso il succedersi delle epoche storiche. L'incarnazione del Figlio di Dio e la Salvezza che egli ha operato con la sua morte e Risurrezione Sono dunque il vero criterio per giudicare la realtà temporale e ogni progetto che mira a rendere la vita dell'uomo sempre più umana".

Il segreto del Giubileo

3) Questa è la lettura del Giubileo nella fede. La vera fede non è intimismo, ma principio di vita nuova "in Cristo", in totalità ed in fecondità, anche storica. Se il giubileo non è colto, celebrato, vissuto in questa fede, viene snaturato. Esso può rimanere una data intensamente significativa per il compimento di un secolo e di un millennio ed interessare come memoria, traguardo e prospettiva, la sfera dell'emozione e della progettualità umana. Può, anche, mettere in movimento una grande organizzazione per gli aspetti relativi all'accoglienza dei pellegrini, fruendo i benefici del loro arrivo. Tutto questo è un dato estrinseco, riduttivo e può essere, anche, offensivo del "segreto" dell'evento se è messo a tacere lo Spirito, se la fede è latitante o, addirittura, assente, se la speranza si ferma a ciò che appare, che si conta; se, in una sola parola, è colto "secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo" (Col. 2,8).

La vera proposta del Giubileo

4) Come credenti, umilmente ma sinceramente, ci proponiamo di non offendere il Giubileo ma di farci "sanare" dalla sua ricchezza di grazia (Lc. 4,19) onde, interiormente rinnovati, ecclesialmente e socialmente riconciliati, possiamo essere operatori di speranza, in Cristo, per il mondo. Dopo esserci preparati nel triennio 1997-99 secondo le vie tracciate dalla lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente del Sommo Pontefice; meditando, ora, quanto, ancora, il Papa ci dice nella bolla d'indizione Incarnationis Mysterium io vostro Vescovo vi propongo sui suddetti documenti pontifici, una meditazione applicata per la nostra Chiesa e la nostra realtà civica culturale. Esorto tutti, specie i presbiteri i catechisti gli insegnanti di religione, i genitori, i gruppi ecclesiali dopo avere approfondita questa mia lettera a catechizzare tra mite essa, nella predicazione, negli incontri, spezzandone i contenuti. Mi auguro, anche, che sui contenuti culturali si apra un dibattito in quelli che chiamo "nuovi areopaghi".
In modo introduttivo ne sintetizzo il tema. Bisogna partire dal fatto che il giubileo è una data, come lo era già, pur se su altri fronti e ritmi, nell'antica fede di Israele (Lev. 25,8-55). La data giubilare per noi è la memoria dell'evento della venuta dell'Eterno Figlio di Dio nella precarietà del tempo. Tale Evento è immanente e vivo nella storia. Noi, uomini del 2000, dobbiamo, quindi, cogliere, la significanza "temporale", "storica" di esso per la nostra vita di cristiani, oggi. Il giubileo, infatti, è l'oggi di Cristo, il Signore, il Risorto Vivente, il sempre Presente. "Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre" (Eb. 13,8). Ho pensato, di impostare questa "attualità" di Cristo, esplicando con una traduzione nell'oggi qui, la parola forte, riassuntiva, con la quale Gesù ha inaugurato la sua predicazione. L'evangelista Marco (1,14-15) la registra così: "il tempo è compiuto, e il regno di Dio è vicino. Convertitevi, e credete al Vangelo". Propongo, in conseguenza, per 1a nostra meditazione, alcune domande:
Se l'Incarnazione compie l'attesa della salvezza, come essa, si attualizza, si fa storia, oggi?
Quale proposta di conversione fa il Giubileo oggi, qui, per noi?
Noi Cristiani siamo capaci, nel disagio di senso e di speranza che attanaglia il nostro tempo, di cogliere, vivere e testimoniare che "tutto è possibile per chi crede" (Mc 9, 23) onde incarnare, oggi, il Vangelo?
Siamo, soprattutto, capaci di entrare costruttiva mente, non polemicamente, nella cultura del nostro tempo, con "nuove analisi e nuove sintesi" (Gaiudium e Spes 5 g).

  IL 2000: UN MOMENTO NEL TEMPO COMPIUTO

Gesù, sola vera salvezza della storia

5) Gesù diceva: "il tempo è compiuto" (Mc. 1, 15). Paolo ai Galati chiama questo "compimento del tempo" anche col termine "pienezza": "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal. 4,4).
L'opera salvifica dell'antica alleanza è portata da Dio alla pienezza, in Cristo. La fine della legge, cioè, del tempo della legge, è Cristo (Rom. 10,4). In Cristo viene tolto il velo che rimaneva, non rimosso, alla legge dell'Antico Testamento (2Cor. 3, 14). La pienezza del tempo in Cristo fa entrare l'umanità nell'ultimo periodo della storia (cfr. 1Tim. 4,1), nell'ultima ora (1Gv. 1,18) o come dice più acutamente Paolo ai Corinzi (1Cor. 10,11) nella "fine dei tempi".
Al termine di questo ultimo periodo della storia, che è "la fine dei tempi", sopraggiungerà un'altra fine, quella del "tempo". Questa fine è chiamata anche il "giorno" (1 Cor. 1,8) della venuta finale di Cristo (1Cor. t5,23) della sua manifestazione (1Cor. 1,7), del giudizio (Rom. 2,6).
Riassumendo possiamo, dunque, dire che Dio inserendo il suo piano di salvezza nella storia umana ne ha fissato dall'eternità "i tempi e i momenti" (IRom. 16,25). Questi sono stati dapprima i tempi della preparazione, chiamati anche "il tempo della divina pazienza" (Rom. 3, 26); poi, nella "pienezza dei tempi" (Col. 4,4) il momento scelto per la venuta di Gesù che inaugura l'era della salvezza; quindi, il tempo che corre da Gesù fino alla parusia, ed infine, preceduto dagli "ultimi giorni" (cfr. 1Tim. 4 1), il "giorno" escatologico, cioè il giudizio finale.

Il tempo "epifanìa"

6) Come possiamo notare la storia dell'umanità ha il suo centro in Cristo. Tra il tempo della venuta del Cristo e quello del suo ritorno passa un tempo "intermedio" che è il "tempo presente", il tempo che ci è dato, il nostro tempo, che è per noi "il giorno della salvezza".
Pur se la "storia della salvezza" che è l'opera di Die nel mondo, centrata in Gesù, ha le sue fasi, i suoi momenti, tuttavia il "tempo" in Cristo non è riducibile ad una dimensione "cronologica" cioè ad un processo che si ritma come passato, momento presente e futuro. Questa lettura del tempo sarebbe, in fondo, angosciante, assorbente. Infatti, il passato, rimarrebbe memoria o rimpianto ma nel segno di ciò che non si è più, il presente sarebbe attimo fuggente, il futuro incertezza, sogno e paura.
Il tempo cristiano non è questa fluenza d'ineluttabilità e di ritmi di morte, perché non è "cronologia" ma "epifania". In questo è il vero significato, di "pienezza del tempo". Il tempo è stato riempito, nella sua precarietà e caducità, dalla "manifestazione" (epifania) di Dio, in Cristo. Sicché ogni tempo è "favorevole", cioè é pregno di grazia, pur se breve, carico di prove; è gestazione del "compimento" finale. Un'immagine bellissima, d'intensa immediatezza, ce l'ha data Gesù stesso per farci cogliere la valenza "gestante", e non "spirante" del tempo che è seme, embrione d'eternità, frammento del totale.
Dice: "La donna, quando partorisce, è abilità, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla" (Gv. 16,21-23).

Il Giubileo: l'oggi di Cristo

7) Il nunc, "l'ora", il tempo presente, è di durata incerta (1Ts. 5,1), è carico (li prove, ma è pellegrinaggio "verso" la consumazione gloriosa. Pietro parla della vita come "tempo del vostro pellegrinaggio" (1Pt. 1,17). Agli Efesini Paolo dice: "Vigilate attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi, profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi" (5, 15-16). "Noi sappiamo - dice ancora Paolo (Rom. 8, 22) - che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi le doglie del parto", ma "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (ibid. 18).Il Giubileo è questo "oggi" di salvezza. Per questo è definibile "l'oggi di Cristo".
Quando Gesù diceva: "lì Regno di Dio è vicino" (Me. 1,15) ci annunziava che è in mezzo a noi. Dobbiamo, quindi, assumerlo convintamente nella nostra vita personale, ecclesiale, storica. Cristo è "presente" nel cuore del nostro tempo. Convertendoci autenticamente a Lui, lo annunzieremo, lo testimonieremo nelle angosce e nelle attese del 2000. L'uomo contemporaneo, attraverso un processo storico, in questo millennio, ha smarrito se stesso perché ha voluto spegnere il semaforo del suo cammino lino che è Cristo luce del mondo, ha scavato pozzi artificiali per la sua sete sfuggendo l'acqua della vita, ha presunto la sua realizzazione in esaltazioni del proprio "io" o ir acquisizione di ciò che è caduco, inaridendo il germe dell'Eterno che è operante nel cuore di ognuno. In fondo ogni uomo è cercato e cerca Cristo, il Signore della vita e della morte e lo celebra senza volerlo e senza saperlo. Tutti siamo stati creati per mezzo di Cristo ed in vista di Lui (cfr. Col. 1,16). Senza Lui l'uomo è uno "smarrito" senza meta, mentre è chiamato ad essere un viandante che cammina cantando la speranza che "non delude>) (Rom. 5, 5).

Cristo, il Signore, Giubileo della storia

8) Il tempo non gira, quindi, su se stesso. Non è amorfo, monotono. E nel segno della "continua novità". In Cristo, l'Eterno nel tempo, c'è il Giubileo della storia (Lc. 4,19). Siamo tutti riportati sulla giusta rotta, siamo immessi nella patria del nostro essere che è "celeste> Come principio, epifania e compimento (cfr. Col. 1,15-20). Siamo sentinelle, ma non tanto verso chi ci vuole aggredire, quanto "nell'attesa della beata speranza e della manifestazione del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (Tt. 2,13). Per chi crede, il tempo non è un ladro ma e illuminato, pur se nella auroralità, dalla luce che si avvicina, che cresce. In tutto quello che avviene, il Signore viene. Colui che attesta queste cose dice: "Sì, verrò presto. Amen, vieni Signore Gesù" (Ap. 22,20).

  IL FINE MILLENNIO, IN CRISTO, NON E' TRAMONTO, MA AURORA

I segni di Dio nel Giubileo del 2000

9) Ora, cercherò di aiutarvi a cogliere i segni di Dio in questo Giubileo del 2000, tra i quali ci siamo anzitutto, noi credenti, chiamati ad esser e "profeti" della presenza di Gesù nella complessità della vicenda umana Questo Giubileo, che chiude ed apre un secolo ed un millennio ci immette in una fase della storia dalle intense problematiche. Guardiamo, sempre, la storia con un atto di fede come fa la Chiesa nella notte della Pasqua, icona della notte del mondo e grembo della luce definitiva del Risorto e della vittoria sulla morte, su ogni morte. Proclamiamo con le parole della liturgia pasquale, in questa svolta epocale, "il Cristo ieri e oggi, principio e fine, alfa ed omega. A Lui appartengono il tempo ed i secoli, a Lui la gloria ed il potere per tutti i secoli in eterno. Amen". Nella fede cogliamo, quindi, il fine secolo, il fine millennio, più che un tramonto come una crescente aurora che annunzia il sole che è Cristo (Le. 1,78).

Il XX secolo

10) Guardiamo, nella luce della fede, dove si trova e dove va, l'uomo del 2000. Il secolo che si conclude è detto "breve" perché segnato da poca positività. E stato il seco lo di due grandi guerre mondiali, della diabolicità dello shoa, dei gulag, delle ideocrazie deliranti, offensive dell'uomo. E stato anche il secolo delle grandi conquiste nello spazio, della informatizzazione, il secolo dei grandi recuperi, pur se travagliati, della democrazia, il secolo della dottrina sociale della Chiesa, del concilio Vaticano lì, della fioritura del laicato, di nuove esperienze aggregative che si sono rivelate come una primavera per la Chiesa. In questo secolo sono pure cresciuti la missionarietà, il movimento ecumenico, il dialogo interreligioso. Si Sono succeduti sul soglio pontificio dei grandi Papi: Leone XIII, per pochi anni all'inizio del '900 e, poi, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, e l'attuale pontefice, di luminosissima testimonianza, Giovanni Paolo Il.

Il millennio che si chiude

11) Il millennio ha espresso nella semina del mondo, come avviene in tutti i tempi e in tutti i luoghi, grano e zizzania. La Chiesa ha avuto grandi prove al suo interno. Nel millennio vi furono le due fratture: lo scisma d'Oriente e il turbamento della riforma protestante nell'Occidente. Vi fu, pure, un trapasso culturale gigantesco, con momenti di corruzione e di rilassatezza ed altri di grande luce di santità, di magistero e di opere. Furono toccati momenti di alta sintesi nel medioevo ma successivamente vi furono gravi fratture derivanti da una accentuata cultura dell'immanenza. Fu il millennio di tante guerre religiose, dello sviluppo dell'Islam, ma anche di grandi elevazioni, nella spiritualità dal monachesimo bizantino, nel dinamismo degli ordini religiosi, monastici, mendicanti. In questo millennio spicca, tra gli altri, la celebrazione di tredici grandi concili ecumenici in Occidente, dopo lo scisma d'Oriente: i cinque concili del Laterano, i due di Lione quello di Vienna, di Costanza, di Firenze, di Trento, il concilio Vaticano I ed il concilio Vaticano Il.

L'ethos dell'uomo contemporaneo alle soglie del 2000

12) Per una analisi, di fondo cogliamo solo alcuni punti nodali dell'ethos dell’uomo contemporaneo alle soglie del 2000 per situarlo in Cristo Redentore dell’uomo, e luce delle genti (Le. 2,32)
Ad un primo sguardo sembra che Cristo sia assente dall'ethos di questo momento storico squilibri sociali violenze, mafie, diritti umani violati immoralità, nichilismo etico e via dicendo. Ma, non e così. Sento di poter affermare che dobbiamo cogliere, come ci dice la Bibbia, due voci. La prima, quella silenziosa ma evidente di Cristo il Signore, che "bussa alle porte" (Ap. 3,20) della storia 'di oggi. Non per niente l'attuale pontefice, Giovanni Paolo lì ha impostato il suo pontificato su questo grido: "Aprite le' porte a Cristo". La seconda è il grido di una umanità provata, angosciata, specie quella dei poveri. Questo grido è l'anelito a Lui, il condividente Crocifisso ed il risolvente Risorto. Ricordate il salmo (11,6): "Al pianto dei poveri al gemito dei miseri ora sorgerò, dice il Signore, porterò' il soccorso a colui che lo brama".
Isaia intona il Giubileo così:
"Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo ed ha pietà dei suoi miseri.
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
cosi da non commuoversi per il figlio delle su e viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai" (49, 13-15).

Le radici della crisi dell'uomo contemporaneo

13) Assieme a queste "voci" di speranza bisogna cogliere, anche, le radici dell'angoscia dello status dell'uomo contemporaneo. Questi, allontanandosi da "casa" dopo aver esperimentato il "paese straniero" (cfr. Lc. 15, 13), le carrube dei maiali, sente acutamente nostalgia del Padre. Possiamo focalizzare una duplice matrice della crisi dell'oggi: una è contestuale, strutturale e l'altra spirituale, culturale. Sul piano dei contesti osserva il Concilio Vaticano Il (Gaudium et Spes, 4c): "L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente Si estendono all'intero universo. Provocati dall'intelligenza e dall'attività creatrice dell'uomo, su di esso si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e agire sia nei confronti delle cose sia degli uomini. Possiamo cosi parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa".
L'uomo d'oggi non sempre sa condurre le cose che ha conquistato, sino al punto che ha perduto la misura e non ha autentiche incanalature. Il problema è, allora, "interiore" all'uomo. E su questo fronte l'uomo del cosiddetto post-moderno è in una situazione di profonda Solitudine derivante dalla autoesaltazione del suo essere che> lentamente lo ha scaricato di autentica valorialità. L'evo moderno lentamente si è qualificato come un tempo di frantumazione. Osserva Joseph Lortz: "Il medioevo era dominato da grandi atteggiamenti fondamentali che irraggiavano l'essere nella sua totalità; conferendogli una continuità interna ed un significativo ordine.
L'evo moderno è, invece, dominato da tendenze disgregatrici che sono: soggettivismo ed individualismo, nazionalismo, laicismo, secolarizzazione. Sorge lentamente non solo un relativismo teoretico, ma, in proporzione molto diffusa, una relativizzazione pratica della verità".
La morale, oggi, non ha agganci veritativi, fa riferimento al proprio pensiero, alla propria opinione e, più è diffusamente, alla propria utilità. Non si parla più di norma etica ma di legge dei mercati, degli affari, della politica, della carriera, e tutto viene relativizzato. C'è quindi libertà senza verità, cultura dell'immagine, della bellezza, senza interiorità, senza profondità. Tutto appare pragmatico. C'è un "soggettivismo" imperante. Nel documento "Con il dono della carità dentro In storia", dell'episcopato italiano dopo il convegno di Palermo, (26/05/1996), rileva: "Questo clima culturale pone a noi cristiani la domanda fondamentale sulla verità dell'uomo e di Dio". E questa la sfida più importante e più difficile che deve affrontare chi vuole incarnare il Vangelo nell'odierna cultura e società. La nostra risposta deve essere anzitutto attenzione intelligente e cordiale ai preziosi elementi positivi della modernità avanzata, come il bisogno di senso e di speranza, l'esigenza di solidarietà e di etica pubblica, la ricerca di relazioni interpersonali sincere, di informazioni non manipolate. Dobbiamo, quindi, sollecitare la cultura del soggetto e della libertà a liberarsi dalle chiusure del soggettivismo e dell'individualismo e ad evolversi verso la cultura della persona, soggetto autocosciente e libero, ma anche aperto alla verità dell'essere, agli altri, a Dio" (n. 27~.

Le attese dell'oggi

14) Oggi nel mondo c'è tanto smarrimento ma anche tanta esigenza di valori, di certezze, di approdi. Sento di dire di più. Mentre la crisi sembra, ed in parte lo è, rifiuto di un principio assoluto, trascendente, mentre sembra, ed in parte lo è, chiusura alla salvezza donataci da Cristo con spostamenti a salvezze immanenti, quali furono quella marxista, freudiana, del super-uomo nietzschiano; mentre sembra, ed in parte lo è, che la Chiesa sia guardata a seconda che è utile o no alla propria riduttiva, parziale, visione politica; è vero, però, anche, che i valori che discendono dal Vangelo. oggi, pur se non con evidenziazione esplicita, sono assimilati, presenti, espressi con altri nomi e determinano, a mio giudizio, uno scenario culturale interessante. C'è spazio culturale sul piano del rispetto della persona umana, dei suoi diritti fondamentali, della vera dignità della donna, della vita, dell'ecologia, della pace. della solidarietà, che può aprire a dialogo serio e costruttivo. Spesso se si rigetta la voce della Chiesa lo si fa ritenendola imprigionante, moralistica, ecc.
Certamente la Chiesa non è conosciuta ma è osservata. Dobbiamo rivelarci, nella coerenza della verità, Simpatici. Bisogna proporre culturalmente, ma vitalmente, un doppio salto. Il primo è nel far cogliere che l'uomo non è la misura della verità ma solamente antenna ricettiva e trasmissiva. Deve, quindi. aprirsi al "fondamento" extra soggettivo. Il secondo è far cogliere, e l'esperienza di tanti fallimenti lo facilita, che "nessun uomo può riscattare se> stesso" (Salmo 49,8) e che Cristo, unico Salvatore del mondo, non è un ideologo tra tanti; un "buonista" per comportamenti saggi e basta: ma colui che mette, per la forza assoluta del suo essere, l'uomo nella sua grandezza e povertà e gli chiede di autenticarsi dentro, nell'umiltà, e di vivere l'unità etica della vita aprendosi a conversione. Dobbiamo proporre la conversione che se non parte o arriva alla fede, deve essere, perlomeno. disponibilità all'ascolto, al rispetto reciproco. e capacità di accoglienza.
Noi siamo ben convinti che ogni frammento di verità è di Cristo. Qui, s'innesta la nostra testimonianza di Chiesa del 2000, e la nostra missionarietà in areopaghi nuovi, vasti, seri, onde il Giubileo sia "l'oggi" di Cristo, per l'uomo di oggi.

  LA GRANDE INDULGENZA DEL GIUBILEO 
PER UN FUTURO DI RICONCILIAZIONE

"Riconciliatevi con Dio" (2 Cor. 5,20)
"Se non vi convertirete, perirete tutti" (Dc. 13,5)

Il senso dell'indulgenza

15) Nella bolla d'indizione del grande Giubileo, il Papa rileva che l'indulgenza è uno degli elementi costitutivi dell'evento giubilare. "In essa - dice - si manifesta la pienezza della misericordia del Padre, che a tutti viene incontro con il suo amore, espresso in primo luogo nel perdono delle colpe".
"La Chiesa, avendo ricevuto da Cristo il potere di perdonare in suo nome (Mt. 16,19; Gv. 20,23) è nel mondo la presenza viva dell'amore di Dio che si china su ogni umana debolezza per accoglierla nell'abbraccio della sua misericordia. E precisamente attraverso il ministero della sua Chiesa che Dio espande nel mondo la sua misericordia mediante quel prezioso dono che, con nome antichissimo, è chiamato indulgenza". "L'avvenuta riconciliazione con Dio - prosegue il Papa - non esclude la permanenza di alcune conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi. E precisamente in questo ambito che acquista rilievo l'indulgenza, mediante la quale viene espresso il dono totale della misericordia di Dio. Con l'indulgenza, al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa" (n. 9).

L'impegno dell'indulgenza

16) Convertitevi... dice Gesù (Mc. 1,15).
Se l'indulgenza è dono totale della misericordia del Padre, da parte di noi uomini che siamo tutti perdonati e bisognosi di continuo perdono chiede una purificazione maggiore, profonda. La vita cristiana è una "conversione continua". Nel nostro cuore abbiamo tanti detriti, c'è come un sottofondo di rigurgiti del male. Sulla terra non raggiungiamo mai la purificazione assoluta. La "conversione" è un cammino, che ci porta non all'annullamento del "peccato che abita in noi" (Rom. 7,17-20), ma gradatamente alla sua non incidenza nelle nostre scelte tanto da rendere più facile il bene e costruirci un habitus di comunione orante e vigilante.
Se il Giubileo non ci immette in cammino di conversione è episodio e può essere visto come "turismo religioso", come richiesta di grazie temporali, come ritualità solenni, eccezionali. Nel Giubileo c'è l'abbondanza della misericordia di Dio, ma deve esserci, da parte nostra, una generosità di risposta, d'impegno. Tale conversione diviene così fermezza, costanza nella fede. Dobbiamo, secondo l'esortazione di Paolo agli Efesini, "attingere forza nel Signore e nel vigore della sua potenza" (6,10).
In questo senso il Giubileo, per usare un termine insolito, vuole una "riqualificazione" della Chiesa, che si deve presentare nel mondo, inquinato e disorientato, come la vuole il suo Signore "senza macchia, nè ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ef. 5,27).
Il Giubileo, tempo di profonda conversione, è quindi tempo di grande riconciliazione.
Come vostro Vescovo, cui è affidata la "parola della riconciliazione" con l'intensità della esortazione di Paolo vi ripeto: vi supplico in nome di Cristo, riconciliatevi con Dio (cfr.2Cor. 5,20).

Gli spazi della riconciliazione

17) Tale riconciliazione deve essere personale, familiare, ecclesiale, comunitaria e strutturale, sia nel nostro vissuto diocesano, che, in apertura culturale reciproca, nelle varie espressioni della nostra realtà civica e sociale. Ve la propongo come impegno di ognuno e di tutti in un serio ~ comunitario esame di coscienza dinanzi a Dio. Voi sapete, fratelli e sorelle, che "la Parola di Dio e viva, efficace più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i e i pensieri del cuore Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a Lui ma tutto e nudo e scoperto agli occhi suoi ed a lui noi dobbiamo rendere e conto (Ebr 4 12 13) Chiedo una "confessione generale" della nostra Chiesa, a cominciare da me per il Giubileo proponendovi sinteticamente una riflessione su una quadruplice evangelica riconciliazione. con Dio, con gli altri, con la vita, con la storia.

  RICONCILIAZIONE CON DIO

Riscoprire e purificare il nostro rapporto con Dio

18) La prima riconciliazione giubilare è quella con Dio. Gesù, nel discorso di addio (Gv. 14,1-2) ci consola ed esorta, dicendo: "Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me, nella casa del Padre mio vi sono molti posti". San Paolo ha una intensa e vivace espressione: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20).
Cosa significa l'espressione "riconciliarsi con Dio"? Indica il ritorno ad un genuino e vitale rapporto con lui, purificandosi dai tanti abusi, storture che snaturano l'incontro e la relazione con Lui. Non per niente il primo comandamento della legge antica si esprime così: "Non nominare invano il nome di Dio" (Es. 20,7). Questo comandamento vieta l'approccio magico con Dio e ci chiede la vigilanza acché non ci costruiamo un Dio "a nostra immagine" tradendo la sua "immagine in noi". Questo è un punto nodale dell'esperienza umana e religiosa. Gesù ha sottolineato che lui è venuto per rivelarci la "verità" di Dio, mostrandoci il "Dio vivo e vero" (1Tess. 1,9). La scoperta del volto di Dio, per come è possibile sulla terra, è dovere di tutti, secondo il nostro posto e la grazia ricevuta.

Dio è principio, senso e compimento di tutto

19) La crisi del mondo di oggi è crisi di Dio, cioè di riferimento al Principio al Senso, al Compimento di tutto. Senza Dio tutto è anarchia, tutto è permesso. Senza Dio si cade in un relativismo veritativo ed etico. Se non c'è Dio l'uomo si fa assoluto, si esprime arbitrariamente. Non ha di fronte a sé l'albero della conoscenza del bene e del male (Gn. 2, 17), ma presume di essere lui la norma della verità, quindi, non è accogliente ma definiente. C'è di più. Se neghiamo il Dio del ciclo, popoliamo la terra di idoli. Non c'è realtà più drammatica che presumere di essere "dio" a noi stessi o "dio" per gli altri. A riguardo noi dobbiamo evangelizzare, individuando vie e linguaggi nuovi. Per molti, oggi, il ritorno di Dio, il pellegrinare giubilare, è una conversione a livello di prassi etica. Quando la vita si sfalda sul piano etico, di riflesso si disgrega sul piano della fede. L'uomo moderno è, nella maggior parte dei casi, un ateo pratico, vive come se Dio non fosse. Secondo i gradi personali di vita, tutti dobbiamo farci "pellegrini" verso Dio.
Presento alcune "tappe di un cammino" verso il "monte di Dio" (Es. 3, 1). In tutti c'è l'intuito del divino. Oltre che innato al nostro spirito, l'intuitus Dei è nella tradizione del nostro popolo. Bisogna non spegnere questa fiammella ma alimentarla con l'olio della Parola. Dall' "intuito di Dio", bisogna arrivare al "senso" di Dio. Ed è il sentirlo come coscienza, o per lo meno, come ricerca, in quanto è "altro" da noi, dal mondo della inconsistenza, della precarietà delle cose. Un altro grado è arrivare all'esperienza di Dio, cioè a farlo non solo entrare nella nostra vita ma a farlo "vita dell'anima". L'esperienza di Dio è coscienza di vita, conformazione al suo Spirito, è vita alla sua presenza.

Esame di coscienza per tutti sul rapporto con Dio

20) Ovviamente questa itineranza o pellegrinaggio non può approdare ad un Dio vago, indefinito e spesso ininfluente, ma al Dio rivelatoci e donatoci da Gesù: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Il Papa ci ha offerto, nel triennio prima del 2000, un itinerario ben preciso, come credenti: "Per Cristo, nello Spirito, al Padre". Il volto trinitario di Dio ci mostra il Dio della vita, della comunione e della speranza. È il Dio amore. È il Dio trascendente ma vicino ad ognuno. È il Dio perdonante e Padre di tutti.
Vorrei offrire, per la "conversione giubilare", alcuni spunti di esame di coscienza per tutti.
Mi rivolgo, anzitutto, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati, ai religiosi e alle religiose. L'elemento che ci qualifica è, sì, la consacrazione sacramentale o quella vitale con la professione solenne, ma ciò che ci rende credibili è l'essere veramente uomini e donne di Dio.
San Paolo a Timoteo esorta a nutrirsi della Parola perché dice: "L'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" (2Tim. 3,16). Il popolo non vuole in noi primariamente l'emersione delle qualità umane, culturali, il suvoir fuire, ecc., ma la trasparenza di Dio, dobbiamo trasmettere quanto "contempliamo". La nostra predicazione deve essere esperienziale, cioè partire e fondarsi sulla nostra preghiera.
Klaus Hemmerle afferma: "Dio è il meraviglioso, il misterioso. Il suo mistero è l'amore stesso; e in questo amore è celato e custodito il mistero del tutto, la connessione esistenziale tra tutte le cose. Soltanto alla sapienza che viene da Dio stesso è possibile conoscere il Dio mirabile, e riconoscere in Lui il mistero del tutto. Questo mistero alberga in Dio stesso, questo mistero è Lui stesso". Ma tutta la vita della Chiesa deve avere questo aggancio fondativo e risolutivo. Nella nota pastorale della CEI dopo il convegno ecclesiale di Palermo, Con il dono della carità dentro la storia (26/05/1996), al n. 10 è detto: "Per la nuova evangelizzazione e per il rinnovamento della società, la prima risorsa e la più necessaria sono uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Non basta aggiornare i programmi pastorali, i linguaggi e gli strumenti della comunicazione. Non bastano neppure le attività caritative. Occorre una fioritura di santità. Essere santi significa vivere in comunione con Dio, che è il solo Santo, e, perché Dio è carità, lasciarsi plasmare il cuore e la vita dalla forza della sua carità".
Accenno ad alcuni elementi di grande valutazione, in questo anno giubilare: a) saper essere intelligentemente e cordialmente vicini con quanti hanno una qualsiasi fede religiosa e che sono cercatori di Dio: b) saper cogliere le sofferenze e le provocanti ragioni di alcuni atei di oggi che, spesso, postulano in noi che ci diciamo credenti, cuore sincero, vero, grande, e soprattutto anelano, forse, ad un volto genuino di Dio, che noi talvolta nascondiamo; c) purificare la religiosità diffusa, nel nostro popolo dalla "ricerca di sé" con sottolineature miracolistiche, emozionali, al grande pellegrinaggio del cuore per approdare alla "verità di Dio". Non conta fermarsi alla gratificazione di sé stessi. A riguardo c'è un grande lavoro di evangelizzazione. Non bisogna spegnere nulla ma proclamare la verità di Dio, anche con coraggio profetico Gesù stesso diceva:
"Voi avete annullato la Parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Ben ha profetato di voi Isaia, dicendo: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Mt. 15,7-8).
Come frutto del Giubileo che ha il suo primo senso, quindi, nella riconciliazione con Dio dobbiamo ritrovare la preghiera l’ascolto della Parola nel profondo, riscoprire la Domenica sosta dell’Eterno nel ritmo del tempo piccolo "giubileo" settimanale assaporare il silenzio" contemplativo, radicarci nella Chiesa "mistero" che è riflesso della comunione divina e di conseguenza, perché uomini ancorati allEterno, essere più umani e più storici

  RICONCILIAZIONE CON GLI ALTRI

L'unità tra gli uomini, riflesso della comunione Trinitaria

21) La riconciliazione con Dio si fa, poi, concretamente riconciliazione con gli altri. San Giovanni nella sua prima lettera (4,19-21) scrive: "Se uno dicesse "io amo Dio" e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello".
Il Signore ci conosce uno per uno ma ci vuole insieme. Quando siamo "uniti", o meglio, usando un'espressione del Vangelo, quando siamo "uno" (Gv. 17,22) riflettiamo il mistero della comunione trinitaria, siamo per il mondo provocazione alla fede (Gv. 17.21) e realizziamo il progetto di Dio, incrinato dal peccato e riattivato nella croce di Gesù, che è la riconciliazione con gli altri, con ognuno e con tutù'. "Un solo corpo, un solo spirito (...). Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di là di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef. 4,4-6). "Cercate di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace" (ibid. 4,3). Il peccato che è rottura con Dio si esprime come rottura con gli altri. Adamo, nella comunione con Dio, contempla ed accoglie Eva (Gn. 2,23). Dopo il peccato o, se vogliamo, nel peccato, i due si accusano reciprocamente e si distanziano, Caino uccide il fratello (Gn. 3; 4,1-8).
La riconciliazione con gli altri è manifestativa ed attuativa della comunione con Dio. Essere in comunione con gli altri è frutto di una seria e profonda conversione. "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli> (1Gv. 3,14).

Spazi di riconciliazione con gli altri

22) Accenno, per un Giubileo autenticamente vissuto, ad alcuni spazi da recuperare nella riconciliazione con gli altri. Indico soprattutto: l'interpersonalità, la familiarità, l'ecclesialità, l'ecumenicità, l'interreligiosità, la compassione, la misericordia, la carità tradotta in passione per la giustizia.

L'interpersonalità

22.a) Oggi le relazioni interpersonali si sono inaridite. Siamo omologati nella massa, smarriti nella solitudine. Non si sa scoprire più il volto dell'altro. L'altro è icona di Dio e vale per se stesso. non se ci è utile, se ci gratifica. Il diverso non e scontro, ma ricchezza. Siamo chiamati a superare la paura dell'altro, la diffidenza, a vincere l'indifferenza ed a purificare il profondo del cuore, dove si nasconde il giudizio sull'altro e dove cova la mormorazione. L'altro deve essere colto nella fede.

La familiarità

22.b) Bisogna recuperare il dialogo riconciliante nella famiglia. 1~ famiglia è comunione di persone e non semplicemente spazio di convivenza. Talvolta proprio nelle famiglie si può essere tanto lontani e si consumano scontri si macinano solitudini. La famiglia deve essere scuola di comprensione, di rispetto, di perdono. I figli devono cogliere la valenza autorevole dell'amore paterno e materno ed i genitori la valenza arricchente dell'originalità di ogni figlio che viene. Voglia il cielo che il "giubileo" sia riconciliazione di tanti drammi, di tante rotture familiari.

L'ecclesialità

22.c) Il luogo della riconciliazione e della comunione è la Chiesa "La Chiesa - annota il Concilio Vaticano Il (Lunen Gentium 1) e in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unita di tutto il genere umano" e prosegue "le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, al finche tutti gli uomini oggi più strettamente congiunti da vari vincoli sociali tecnici e culturali possano anche conseguire la piena unita in Cristo" (ibid).
La Chiesa e il segno della umanità riconciliata ed e vincolo di riconciliazione La Chiesa in noi ed attraverso di noi, deve costruirsi sempre Nel suo segreto interiore e ricchezza del diverso, e sintesi del vario, e ricomposizione del conflittuale, è "cattolica" in quanto è aperta ad ogni voce, braccia per tutti gli uomini, è grembo per tutto l'umano. Concretamente chiedo per l'anno giubilare:
Crescente unità della Chiesa in tutti i suoi volti. I presbiteri si sentano presbiterio. I settori e le zone sviluppino la comunione pastorale segno di quella sacramentale, specie eucaristica. I religiosi siano aperti alla Chiesa diocesana e la Chiesa diocesana a loro. I religiosi sono il volto nella santità della Chiesa e sono sempre ricchezza per tutti. I gruppi, i movimenti, i cammini di fede sono una benedizione di Dio ma evitino la tentazione di sentirsi "chiesa elitaria", "perfetta". Sento di potere affermare che la genuinità di un gruppo ecclesiale si misura dall'apertura agli altri gruppi e dalla coscienza convinta, non ostentata, del proprio limite, nella assunzione gioiosa della Parola del Signore che dice: "Chi si vanta, si vanti nel Signore" (2 Cor. 10,17); ed ancora: "Se proprio devo vantarmi, mi vanterò delle mie debolezze" (2 Cor. 11,30).
Si coltivino molto gli organismi della comunione, quali il Consiglio presbiterale, il Collegio dei consultori, i consigli pastorali e quelli amministrativi sia a livello diocesano che parrocchiale.
La Chiesa, poi, non si situi nel mondo con la sicurezza e la saccenteria della "Signora" ma con l'umiltà ed il pudore della "serva". Sia simpatica, cioè condividente, con sofferente. Queste sono le condizioni perché sia riconciliante. lì giubileo vuole essere, in primo luogo, una conversione della Chiesa onde sia, nella fedeltà al suo Signore, rinsaldata nell'unità, compaginata per l'umiltà dei suoi figli ed aperta alla sofferenza ed ai problemi dell'uomo. Dobbiamo sempre ricordare che non siamo stati posti a condannare, ma a cercare chi è perduto e a non spegnere il lucignolo fumigante (Mt. 12,20). Quanto più, come Chiesa, nella verità di Dio saremo fermi contro l'errore, tanto più saremo, nell'amore misericordioso di Dio, come i buoni samaritani, per curare le ferite dell'uomo.

La nostra Chiesa di fronte al Giubileo

22.d) Oggi, la nostra Chiesa, con la sua storia, vive un momento particolare, che presenta, a mio discernimento, alcune connotazioni da ben esaminare: 1) c'è una fede silenziosa, profonda nel nostro popolo, specie nei semplici, che è la nostra forza, la nostra speranza; 2) c'è una ricerca di sintesi, che si stenta a compiere, anche metodologicamcnte, tra i valori tradizionali, forti ancoraggi della nostra gente, ed il moderno, o meglio il postmoderno. Siamo impegnati in una valida impostazione pastorale ad evitare due scogli: la staticità e l'avventura; 3) ci sono mille fermenti sul fronte dell'impegno caritativo, ~a non c è l'unitarietà del servizio. C'è, in una parola, molta frammentazione e si stenta a cogliere e vivere la dioccsaneità, non tanto come appartenenza quanto come convergenza nelle scelte pastorali; 4) c'è esigenza di dialogo con la società civile che ha, pure, tante positività, ma che non evidenzia nè sembra assumere la serietà di alcuni problemi, come la disoccupazione, l'emarginazione, il malcostume. Mi pare, a riguardo, sovrasti una specie di copertura silenziosa, non intenzionale, ma frutto di una certa borghesia che si aggrega silenziosamente e che non apparendo non fa apparire la realtà nel suo vero volto, specie quello delle sofferenze.
I nostri orientamenti giubilari si fondano su una intuizione e si esprimono su scelte precise. L'intuizione è che i progetti pastorali possono essere artificiosi se non c'è l'impegno della ferialità, della creatività, della unitarietà in ogni comunità parrocchiale, in ogni gruppo, movimento, associazione ecclesiale. La pastorale è presenza, vigilanza, dono, nel proprio spazio umano, territoriale. La pastorale è, anzitutto, atto di fede è passione dell'anima, è affidamento dinamico nella speranza del Dio presente, operante e vivificante, è esercizio di carità. Il nostro piano è, per questo, essenzialmente, cosi presentabile:
- Incrementare, vivificandola, la pastorale ordinaria.
- Partire dalla convinzione che la testimonianza vale più di ogni azione.
- Credere al nostro popolo, pur guidandolo, per una crescita costante. Essere "nuovi" non significa smontare il passato, ma animano.
- Non si toglie nulla senza far emergere il nuovo, nella gradualità e nella pazienza.
- Partire sempre dalla Parola, ritrovarsi e ricaricarsi in essa.
- Impiantare la catechesi per tutti e in tutto, formando i catechizzatori.
- Fare, con umile ma serio impegno, di ogni liturgia un'epifanìa di Dio.
- Essere presenza d'amore nel territorio. La Caritas sia non tanto un'organizzazione tra tantema, il compimento della crescita di fede, sia la "fides quae per charitatem operatun" (Gal. 5 6).
Le parrocchie divengano "soggetti sociali" nel territorio (documento CEI Chiesa Italiana e Mezzogiorno, 34). "Sociali" non significa "politici", ma aperti alle situazioni, alle ingiustizie alle emarginazioni, alla povertà da assumere in Cristo e per cui agire, nella forza dell'Amore che è l'anima e la provocazione di ogni giustizia.
- Essere particolarmente attenti ad una pastorale vocazionale, giovanile, familiare.
- Compiere gesti della carità con dei segni forti, rispondenti alle necessità di ogni ambiente. Agiremo, per l'Anno Santo, secondo le indicazioni del Santo Padre, onde alleggerire il debito internazionale dei paesi poveri, opereremo per la fondazione anti-usura in Diocesi e per una "Antenna Uomo" come grande centro di ascolto e di orientamento delle necessità emergenti nel nostro territorio. In questo anno giubilare intendo offrire ancora un segno a tutta la diocesi allargando le finalità statutarie della fondazione "Giovanni XXIII" che ora si interesserà, ampliando le proprie attività, di carità e cultura. In pratica si tratta di rinnovare l'ente, ponendo in strettissimo rapporto la dimensione culturale, educativa e formativa con quella caritativa, sociale, di promozione umana e del volontariato. Ciò mi è parso coerente con le linee pastorali ecclesiali proposte dalla Chiesa italiana che in questo decennio sta molto riflettendo sull'evangelizzazione e testimonianza della carità e sul progetto culturale cristianamente ispirato.
La Fondazione diventerà, in fattiva collaborazione con ìa pastorale diocesana, il riferimento operativo per le Opere culturali e caritative della diocesi; essa comprenderà 1'Istituto "Giovanni XXIII" di Serra Aiello, le scuole cattoliche non-statali diocesane ed altre iniziative culturali già presenti in diocesi.
L'esigenza di collegare cultura e carità è motivata, per lo meno, da tre considerazioni:
a) Giovanni Paolo lì nella bolla Incarnationis Mysterium al n. 12 indica la carità come "un segno della misericordia di Dio, oggi particolarmente necessario": e ci invita perciò come un segno giubilare, ad essere più attenti alle esigenze di solidarietà che emergono dalla storia presente;
b) vorrei ricordare le radici storiche presenti sia nella spiritualità di San Francesco di Paola, che interpretò attraverso molteplici gesti la cultura della carità, sia in quella dell'Abate Gioacchino che visse la cultura come carità servizio alla Chiesa e promozione dell'umano;
c) infine, non è da trascurare la necessità in Calabria di sperimentare una pastorale della carità che vada oltre l'assistenzialismo e sia segno profetico, anche per il mondo politico, perché si elabori una proposta culturale e un progetto di governo che tenga in maggior considerazione gli ultimi.
Oggi, all'orizzonte del nuovo millennio, si presenta la possibilità di riconciliare cultura e carità. Nel corso dei secoli molti santi hanno saputo farlo e molte congregazioni religiose, maschili e femminili, nelle loro regole hanno vivacemente attualizzato questa straordinaria unità. Non hanno stemperato l'impegno spirituale della conoscenza e della ricerca di bene e del bello rispetto all'urgenza delle opere concrete, né hanno esaltato l'elaborazione del pensiero come fine a se stessa. senza il naturale sviluppo della costruzione del Regno attraverso le opere di bene.
Tutto questo, con un "nuovo ardore", superando la sfiducia ed andando oltre il frammentarismo e l'isolamento pastorale, per cui si presume di esaurire tutto nel proprio spazio secondo i propri limiti e i propri schemi.

Ecumenismo per l'unità dei cristiani

22.e) Una delle invocazioni del Papa nella Tertio Millenriio Adveniente, è la grazia dell'unità dei cristiani. Afferma (n. 34): "È questo un problema cruciale per la testimonianza evangelica nel mondo. Soprattutto dopo il concilio Vaticano Il sono state molte le iniziative ecumeniche intraprese con generosità ed impegno: si può dire che tutta l'attività delle Chiese locali e della Sede Apostolica abbia assunto in questi anni un respiro ecumenico".
"Siamo però tutti consapevoli che il raggiungimento di questo traguardo non può essere solo frutto di sforzi umani, pur indispensabili. L'unità, in definitiva, è dono dello Spirito Santo.
A noi è chiesto di assecondare questo dono senza indulgere a leggerezze e reticenze nella testimonianza della verità, ma mettendo in atto generosamente le direttive tracciate dal Concilio e dai successivi documenti della Santa Sede, apprezzati anche da molti tra i cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Ecco, dunque, uno dei compiti dei cristiani incamminati verso l'anno 2000.
L'avvicinarsi della fine del secondo millennio solleciti tutti ad un esame di coscienza e ad opportune iniziative ecumeniche, così che al grande Giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto più prossimi a superare le divisioni del secondo millennio. E necessario al riguardo, ognuno lo vede, uno sforzo enorme. Bisogna proseguire nel dialogo dottrinale ma soprattutto impegnarsi di più nella preghiera ecumenica"
Nella nostra Chiesa fondati sulla preghiera richiestaci da Gesù e ribaditaci dal Papa, bisogna crescere nella riflessione che ci porti alla radice della verità che e la Parola, approfondita autenticamente, bisogna superare forme di rigore inopportuno ben sapendo che la verità non è negli enunziati ma nel profondo e, soprattutto, partire da seri esami di coscienza cogliendo le nostre infedeltà e, si queste basi, educarci ad un dialogo vigile ma aperto e sincero.
Cercheremo di pregare e dialogare insieme con i fratelli delle altre confessioni cristiane, ricordando, anche, alcuni momenti di tensione, nei secoli passati specie con i Valdesi ed invitando questi fratelli a non farsi bloccare dal pregiudizio "giubilare" dell'indulgenza che, dico con rispetto, nell'oggi deve essere capito.

Il dialogo con le altre religioni del mondo

22.1) Il Papa, ancora nella Tertio Millerinio Adveniente, sottolinea che, per un accostamento vitale al Giubileo del 2000 due impegni sono ineludibili Quello del confronto con il secolarismo e quello del dialogo con le grandi religioni (n 52)
Studiosi attenti fanno rilevare che il prossimo secolo e millennio sarà caratterizzato o dall’incontro o dallo scontro tra le varie civiltà, tra le varie religioni. Sono non pochi gli integralismi radicalizzanti che non solo precludono ogni dialogo ma che generano violenza, aggressività. Come comporre la "coscienza della verità" che connota il credente in Gesù, fuori del quale "non c'è altro nome nel quale è dato agli uomini essere salvi" (Atti 4, 12) ed il dialogo con le altre religioni? Non certamente nel confezionare come una "macedonia" irenistica tutte le fedi in una religione nuova, new age, che faccia un collage, tra l'altro presuntuoso oltreché confusionario. Il nostro atteggiamento è di rispetto nella chiarezza e cerca dialogo evitando ogni intolleranza. La nostra accoglienza non è asettica ma riguardosa della valenza di ogni religione. Infatti, ognuna ha il suo pathos: quella dei "fratelli maggiori", gli Ebrei, e quella dei popoli dell'islam con i quali possiamo incontrarci, anche se con visioni proprie, nell'unità di Dio e sulla sua presenza nel mondo. È anche (la considerare la profondità delle religioni orientali, il Buddismo, il Drahamanesimo, ecc., che scandagliando il cuore dell'uomo lo impegnano ad una purificazione in radice per una elevazione che è catartica, sublimante, pur se evasiva del reale.
In un mondo secolarizzato, condotto dall'affare e segnato dalla violenza, la convergenza rispettosa e feconda delle grandi religioni, purificate da tutti gli integralismi, può essere foriera di pace. A noi, credenti nel Dio fatto uomo e Salvatore di tutto il genere umano, non basta, tuttavia, adagiarsi in una "convivenza" con le altre religioni ma è chiesto il saper annunziare la verità con intelligente mediazione di contenuti e linguaggi e, soprattutto, con una testimonianza della vita in opere di giustizia e di pace.

Una via cristiana: la misericordia

22.g) Meditiamo, ora, con cuore "giubilare" su un dato qualificante l'esperienza cristiana e che è molto atteso nel mondo di oggi, e mi riferisco al saperci esprimere come "compassione e misericordia", riflesso dell'amore riconciliante di Dio. Gesù ci ha esortato ad "essere misericordiosi come lo è il Padre celeste" (Le. 6,36) "che fa spuntare il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5 45)
Nel mondo di oggi i rapporti umani sono inquinati parte c'è una declamazione, talvolta solo enfatica di alcuni valori e chiare esigenze quali la solidarietà, la partecipazione la giustizia sociale ma dall’altra c e molta aggressività nella politica nell’economia nello sport C’è molta indifferenza dell’uno verso l’altro. Gli altri sono un’astrattezza. I rapporti interpersonali fuori di alcune esperienze spirituali forti, sono regolati da categorie o leggi quali quelle degli affari del partito, che fanno rimanere l'uomo sempre più solo. La solitudine è una delle sofferenza più sottolineate, oggi. Come credenti dobbiamo e possiamo essere, in Cristo, "giubileo" per gli altri, sapendo loro sorridere, parlare, condividendo i loro problemi. In una società di fretta e di tensioni conta sapersi fermare, non passare oltre come è detto nella parabola del buon Samaritano (Lc 10 32). La parola qualificante l’altro secondo l'Evangelo è "prossimo". Prossimo non vuoi dire tanto chi è vicino ma il farsi "vicino" a tutti cioè fermarsi, prestare attenzione. Questo si chiama compassione cioè consoffrire così come e nel con godere. "C’è qualcuno in mezzo a voi - diceva Paolo - che soffre ed io non soffra, che gode ed io non goda?" (cfr. Rom 12,15). Viviamo la spiritualità della compassione e della misericordia, cioè del non giudizio sugli altri, ma della loro ricerca a tutti i livelli partendo dalla vita nella Chiesa. La parrocchia, ad esempio, dovrebbe essere il luogo dell'anima dove ci si incontra realmente, dove ci si chiama per nome nel nome di Gesù. Solo se cresceremo in questo stile, in questa "passione per l'altro" potremo sviluppare la cultura della compassione e della misericordia, per tutti, senza diversificazioni, contrapposizioni o, peggio, divisioni.
Il cristiano è in Cristo un segno e un veicolo di riconciliazione. La misericordia è la via di Dio che cerca, incontra e sana la nostra debolezza. Non si spegne il lucignolo fumigante, ma lo si nutre con l'olio della consolazione. Il futuro del mondo sta nella capacità di "umanizzare" i nostri rapporti, incontrandoci, perdonandoci a vicenda ed alleviando le tante piaghe che si evidenziano nella comune vicenda umana.

La nostra carità operi per la giustizia

22.h) Ed, infine, la riconciliazione con gli altri, per il credente, richiede l'impegno serio, frequentemente sofferto, per porre la condizione concreta del rispetto della persona umana, dei suoi diritti inalienabili, del riconoscimento, con conseguente traduzione in scelte sociali e legali, delle sue esigenze primarie, quali il lavoro, la casa, l'educazione dei figli e così via. Il cristiano ama il prossimo incontrandolo, sostenendolo, ma anche operando per la giustizia, per una società più solidale. Oggi, i credenti, siamo diffusamente, assenti o perché sfiduciati o perché intimisti. In quanto credenti, pur non entrando nella tecnica della politica, delle legislazioni lavoriamo perché sia perseguito un ordine di valori che pone ai primo poste la "persona umana", che armonizzi il bene privato con quello comune, che apra ad autentica solidarietà comune per uno sviluppo integrale che sia, cioè, di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. In questa linea il Giubileo ci chiede di riconciliarci con i poveri, gli ultimi, gli emarginati che debbono trovarci al loro fianco come scelta preferenziale, non assistenzialistica, ma umana, che ci sentano interpreti delle loro istanze. Il cristiano per essere cuore di Dio nel mondo deve farsi voce di chi non ne ha, facendosi carico, come Cristo, del dolore umano, denunziando ogni ingiustizia, sopruso e ponendo i semi di un ordine umano nuovo nel quale "la pace si abbracci con la giustizia" e nel quale tutti siamo per ciascuno e ciascuno per tutti (Sal. 85,11).

  LA RICONCILIAZIONE CON LA VITA

Il Giubileo come ricerca di se stessi

23) Concretamente la riconciliazione con Dio, con gli altri, presuppone la riconciliazione con se stessi e conduce ad essa. "Solo in Dio riposa l'anima mia" dice il salmo (62,2). La riconciliazione con se stessi la chiamo "riconciliazione con la vita": intendo, qui, il nostro essere, come autocoscienza, unità interiore, coerenza globale. L'uomo nella visione cristiana si realizza quando accoglie la "vita" che gli è data dall'alto, che lo purifica, lo illumina, lo riempie.
La vita umana in Cristo è triadica, non duale: è corporeità, è psichicità ed è "spiritualità". Lo Spirito Santo di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Rom. 5,5). Siamo cosi <abitati" da Dio, orientati ad essere conformati a Cristo, guidati dallo Spirito Santo.
Nell'assunzione vitale di Cristo possiamo esclamare con 5. Paolo "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Gal. 2,20). Cristo è così vita della nostra vita. Fuori da questa esperienza che è il progetto di Dio su ogni uomo non siamo autenticamente viventi ma "vissuti". Ci dimeniamo tra l'angoscia del vuoto e la presunzione di risposte inadeguate. Dice la Scrittura che, spesso, noi spendiamo danaro per ciò che non è pane.
Il Giubileo deve essere "giubilo" del vivere. Il segreto della vita è "dentro" di noi, non è nelle cose né nell'apparire. La pienezza dell'interiorità, fonte della integralità, e Dio.
La riconciliazione interiore della propria vita fa impostare, in modo nuovo, lo stesso sentire religioso e i conseguenti comportamenti. Gesù vuole che i veri adoratori, quelli che sono nella verità della fede, adorino il Padre in spirito e verità (Gv. 4,24). Dal cuore partono tutte le patologie. Dice il Vangelo: "Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnie, superbia, stoltezza, tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (Mc. 7,21-23). Riconciliarsi con la vita significa "assumere la propria storia", il proprio dolore, significa non essere "mormoratori su tutto". C'è nella nostra gente, molto diffusa, una bestemmia contro la vita, il desiderare la morte propria e degli altri, maledire il giorno in cui si è nati. Questa è remotamente bestemmia contro Dio.
Riconciliarsi con la vita è l'armonia di sé ricomponendo la dispersione dell'essere, fermando la fuga delle responsabilità, controllando l'esasperazione del piacere fine a se stesso, il culto dell'avere che, spesso, è compensativo del vuoto dell'essere. Se non siamo riconciliati con noi stessi gridiamo contro gli altri, malediciamo la storia, bestemmiamo Iddio. Solo una umanità riconciliata sa essere umile, quindi, aperta, feconda. I credenti in Cristo, mentre emerge "la rissa delle lingue" (Salmo 21,31), la frenesia dell'immagine, il culto dello sfascio, dobbiamo far notare il silenzio che deriva dalla pace interiore ed il volto di un'umanità totale e coerente. Il mondo è costruito dall'amore che è l'armonia dell'anima intonata sull'unicordo di Dio.

LA RICONCILIAZIONE CON LA STORIA

Il dovere storico dei cristiani

24) La riconciliazione con la storia, oltreché l'assunzione della propria personale esistenza come dono di Dio che esige fedele risposta nella linea della parabola dei talenti (cfr. Mt. 25 14 3~ comporta un dovere storico, comunitario in un tempo nel quale si tende a demonizzare ogni cosa senza considerare che, in fondo, tutto e opera nostra: il progresso le conquiste tecnoìogiche, la politica, l'economia e così via. Tale tendenza e dovuta mi pare soprattutto alla celerità cosmicità, profondità del transito culturale che ci fa trovare spiazzati e manipolati con difficoltà all'autenticazione e realizzazione personale. C’è, anche, da considerare che il progresso strutturale non accompagnato a quello spirituale, e alienante e non e ordinariamente orientato sul piano dell'etica. Il giubileo come data storica, a mio sentire, ci chiede una svolta comportamentale, una conversione del cuore per non operare, come sta accadendo, un ingiusto stacco tra persona e storia, cadendo in un vittimismo molto conclamato, con una conseguente abdicazione all'impegno, giustificandosi con l'impossibilità o, peggio, con l'inutilità del nostro impegno cristiano nel complesso agone storico.
Il giubileo ci deve donare luce, calma, ricarica ed autenticità di presenza.

Essere Chiesa per la storia

25) Questo ultimo punto che propongo alla vostra meditazione lo considero il primo vero frutto del Giubileo, se sapremo rinnovarci e guardare avanti nella speranza.
La Chiesa non è chiamata a girare su se stessa, ma ad aprire varchi nel cammino dell'uomo. A saper leggere attentamente la storia della Chiesa, essa ha sempre conservato il vero ed aperto al nuovo. La Chiesa indica, infatti, il continuo venire di Dio.
Anche la nostra Chiesa cosentina che nel passato millennio con alcuni suoi figli ha aperto strade lo saprà e dovrà fare per il nuovo millennio nell'esperienza che chiamo dei "nuovi areopaghi".
Queste sono le grandi sfide di questo tempo nelle quali dobbiamo essere presenti, operanti, proponenti. Se sapremo impegnarci, organizzarci a riguardo saremo la Chiesa della storia, dell'uomo. Non ci ridurremo all'intimismo, ai devozionalismi ma porremo i semi del futuro, conservando il deposito della fede come tesoro incedibile ma ponendola nel terreno del mondo come lievito di novità rigenerante. Attueremo la "nuova sintesi" nel continuo divenire della vicenda umana nella quale è entrato il Primo e l'Ultimo. Colui che viene, Via dell'autentica realizzazione dell'uomo.

La Chiesa cosentina nel millennio che si chiude

26) Per situarci genuinamente nella storia guardiamo la Chiesa cosentina nel passato millennio e verso quello che sta per aprirsi scegliendo missionariamente la presenza impegnata e coraggiosa nei variegati e vivaci areopaghi dell'oggi.
La nostra Chiesa cosentina, ora unita all'altra gloriosa di Bisignano è una Chiesa ricca di storia, di santità, di creatività, di opere. Sarebbe interessante un serio studio "ecclesiale" su quanto ha espresso in questo millennio che si chiude. Possiamo affermare che la Chiesa cosentina, in risposta allo Spirito Santo di Dio, è stata desta nei momenti forti, cruciali di questo millennio.
Molto sinteticamente colgo agli inizi del millennio l'opera di un suo figlio veramente luminoso per santità e profezia: Gioacchino da Fiore, nato a Celico Fu l’uomo che ruppe schemi sicurezze e grettezze ed annuncio con intuizioni e contemplazioni fondate sulla Bibbia e penetrate nella preghiera, vie di purezza per la Chiesa e significative per la storia.
Nel cuore del millennio quando incrinò la stabilità metafisica ed etica del Medio Evo e ci si aprì con il Rinascimento, al soggettivismo anche nei riferimenti morali, quando il lòqos fu intaccato dall’eros la nostra Chiesa generò una figura significativa provocante Francesco di Paola l’uomo dalla rude dolcezza calabra che annunziò l'assolutezza di Dio ed il mistero solare del suo Amore, l'uomo che contrappose all'emersione del "piacere", fatto senso del vivere, la "quaresima" perpetua, da lui vissuta e proposta come profondità ed equilibrio dell'essere. Questo figlio della Chiesa cosentina e padre in essa fu uomo del silenzio nella spelonca di Paola e del grido profetico contro le ingiustizie nelle corti dei potenti. Ed ancora la nostra Chiesa ha generato uomini di santità semplice, mi piace dire, di taglio calabrese, come il Beato Umile di Bisignano ed il Beato Angelo di Acri; martiri generosi come S. Ugolino da Cerisano ed il Beato Nicola da Longobardi, e figure di preti eccezionali per santità, cultura, presenza nel sociale, fondatori e fondatrici di numerose congregazioni religiose. Ritengo che come siamo esortati dal sommo Pontefice a redigere un nuovo martirologio, noi, a Cosenza, potremmo per il giubileo raccontarci e contemplare quanto lo Spirito, oltre i nostri martiri, ha suscitato in questi non pochi Santi e Sante fondatori, operatori della carità, umili e fedeli servitori del popolo, specie dei poveri.

Il nuovo areopago della cultura secolare

27) Per il millennio che si apre, l'impegno della Chiesa cosentina, come di tutta la Chiesa, è, nello spirito del concilio Vaticano Il, il dialogo con l'umanesimo secolare. E il serio e complesso areopago della cultura. La Chiesa che è in Italia, nella sua attenta riflessione pastorale, va proponendo un "progetto" che chiama "culturale", d'illuminazione cristiana.
Non tutti assumono questa proposta pastorale né, a me pare, sia diffusamente capita. Si tratta, in fondo di cogliere due linee di orientamento. La prima è l'avere una visione della fede in integralità. Essa non può ridursi ad una adesione personale e comunitaria alla Parola rivelata senza che, vissuta, testimoniata, generi un costume di vita, una cultura, come èthos, giudizio di valori. La fede, si dice, deve inculturarsi, cioè illuminare, ed orientare le scelte dell'uomo, senza divaricazioni tra l'aspetto intimo di essa e la sua incidenza sulla vita in tutte le sue inglobanze etiche: nella famiglia, nella politica, nella economia, nelle relazioni tra i popoli e così via.
Assieme a questo primo aspetto d'inculturazione della fede ce n'è un secondo che è il dialogo con le culture contemporanee. Il Papa nella Tertio Millennio Adveniente ci esorta a quella che non è tanto una "convivenza" di reciproca sopportazione ma una "conversione" reciproca nel complesso areopago umano segnato da "secolarismo", ma anche da istanze profonde (n.52). Il concilio Vaticano Il, nella Gaudium et Spes, il documento della "Chiesa nel mondo contemporaneo" rileva che il genere umano è passato da una concezione piuttosto statica dell'ordine ad una concezione più dinamica ed evoluta ed, in conseguenza, "ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi che stimola ad analisi e sintesi nuove" (5 g).
L'analisi nuova non è quella della contrapposizione di principio se non addirittura della "demonizzazione" tout court, ma quella di un duplice atteggiamento: a) saper cogliere il frammento di positività che anche gli errori nascondono, errori che, non di rado, si esprimono come esasperazione di una verità parziale, sganciata dal fondamento; b) individuare le ragioni, postulatorie di alcune idologie o ortoprassi, che sono, non di rado, reattive ad un certo "integralismo" religioso, ad un certo clericalismo. A riguardo, oltre la continua e profonda conversione della nostra prassi di cristiani che non è sempre edificante provocante, si richiede una conversione della riflessione teologica, filosofica onde porre le premesse di un " nuova sintesi". Non mi riferisco, come è ovvio, ad un sincretismo che componga pezzi diversi ma al saper cogliere le istanze delle culture che, in fondo, bussano cine proposta alle verità che discendono dalla fede. Le sottolineature, parziali, talvolta esasperate, o impazzite di certe culture chiedono il saper cogliere, come in un frammento di specchio, spazi veritativi che, da noi credenti sottaciuti, per lo meno nella ortoprassi, devono essere evidenziati e rispettati.
Sarebbe molto interessante che, in un discernimento comunitario umile ed in esame di coscienza sincero, potessimo cogliere cosa in questi ultimi secoli hanno detto alla fede, alla Chiesa, il protestantesimo, l'illuminismo, il marxismo, l'esistenzialismo ed oggi, il secolarismo ed il laicismo.
Non è questa lettera lo spazio per tale esame, ma indico alcune piste che vedo interessanti e che dovremo studiare e approfondire.
Il protestantesimo ha sottolineato la dimensione personale della fede. L'illuminismo ha favorito il superamento dell'irrazionale come magia, fatalismo o rassegnazione passiva dell'esistenziale. Il marxismo ha dato, nell'analisi della storia, un apporto che, se pur riduttivo o tragicamente immanentistico, è stato provocante in riferimento ad una esigita "giustizia sociale" e ad una fede che non sia astratta e non tradotta in redenzione dell'ingiustizia e degli individualismi economici. L'esistenzialismo ci ha aperti alla ricerca, all'interno dell'esigenza di una emersione soggettiva, che purificata dal soggettismo esasperato sia personalizzante, in un tempo di massificazione e di omologazione. Lo stesso secolarismo ci ha aperto al recupero della valenza delle realtà terrene, all'esame dei dati a livello scientifico, senza, ovviamente, cadere, nello scientismo. Ed il laicismo ci provoca all'identificazione di una sana laicità cristiana. La visione cristiana della vita sfugge, da una parte, l'intimismo e, dall'altra, ogni integralismo. Oggi, i cristiani dobbiamo operare con la nostra identità, nel mondo.
Nel documento conciliare Apostolicam actuositatem, sull'apostolato dei laici, è detto (cfr. 13 d) che essi svolgono la missione della Chiesa: "a) anzitutto nella coerenza della vita con la fede, mediante la quale diventano luce del mondo e con la loro onestà in qualsiasi affare, con la quale attraggono tutti all'amore del vero e del bene e in definitiva a Cristo e alla Chiesa; b) con la carità fraterna con cui diventano partecipi delle condizioni di vita, di lavoro, dei dolori e delle aspirazioni dei fratelli, dispongono a poco a poco il cuore di tutti alla salutare operazione della grazia; c) con pienezza di coscienza della propria parte nell'edificazione della società per cui si sforzano di svolgere la propria attività, domestica e sociale, con continua magnanimità. Così il loro modo di agire penetra un pò alla volta l'ambiente di vita e di lavoro". Lo stesso documento (n. 14 b) esorta i cattolici "a cooperare con tutti gli uomini di buona volontà nel promuovere tutto ciò che è vero tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che amabile (cfr. Fil. 4,3)".
E prosegue: "Entrino in dialogo con essi, prevedendoli con prudenza e gentilezza, promuovano indagini circa le istituzioni sociali e pubbliche per portarle a perfezione secondo lo spirito del Vangelo".

Gli spazi emergenti

28) In concreto vi sono alcuni spazi che sono emergenti c nei quali il dialogo cristiano, la presenza dei laici sono ineludibili.
Ne cito, tra tanti, alcuni, che ritengo emergenti: la politica, l'economia, la multimedialità, l'èthos laicista.

La politica

28.a) La politica che è un servizio al bene comune, oggi purtroppo, non gode molta stima. Essa, se ben vissuta, è forma alta di carità sociale, per cui c'è anche una spiritualità dell'uomo politico. E ovvio che assieme al valore bisogna affermare anche il limite della politica. Essa non è tutto: non tiene conto, infatti, del destino totale dell'uomo; anzi, per essere esercitata bene, ha bisogno di atteggiamenti umani e morali che essa non produce ma presuppone. La politica, comunque, non è mai neutra. Infatti, annotavo in una mia lettera pastorale alla Chiesa di Crotone-S. Severina, Cristiani nella vita sociale (11/2/1994): "Appena cerca di disciplinare ambiti e comportamenti che riguardano più direttamente la persona umana ed il suo rapporto dell'uomo con l'economia e di essa tra gli uomini, entra inevitabilmente in gioco la concezione dell'uomo alla quale ci si ispira e tutto il mondo dei valori che in essa è implicato. Da questo dipende la scelta su aspetti fondativi, quali la vita, la famiglia, la solidarietà, la via della pace" (pag. 22, n. 17).
Da quanto suddetto si coglie che la politica, oltreché ricerca del bene comune, è anche una mediazione di valori. Non perché oggi è in crisi, bisogna mollarla. E necessaria, invece, una formazione dei cattolici sui grandi principi dell'insegnamento sociale della Chiesa, ed è pastoralmente valido che le parrocchie siano nel territorio "coscienza critica" su tutte le ingiustizie, carenze, situazioni di emarginazione. Bisogna elevare il tono della politica, in un sussulto etico, in uno slancio culturale, in un impegno di fedeltà all'uomo, nella luce del Vangelo. L'anno giubilare ci chiede una riconciliazione con tale spazio così importante, evitando la "critica" ricorrente e quasi pregiudizievole, e sviluppando un tipo di presenza attiva, propositiva, animatrice delle varie realtà umane, sociali.
Il volontariato è una forma nobile, distintiva di coscienza cristiana, ma non è esaustiva. Assieme, o meglio, dentro di essa conta lavorare onde perseguire giustizia, promozione umana ed autentico sviluppo.

L'economia

28.b) Nel documento della CEI (18/10/1989) su Su sviluppo nella solidarietà - Chiesa Italiana e Mezzogiorno e affermato (nn. 16-17): "Attualmente il 'mercato' appare e viene esaltato come realtà vincente' sull'uomo e sulla solidarietà tra gli uomini e tende a porsi come egemone anche nei confronti dello Stato, al quale invece compete la salvaguardia e la promozione di quel valore superiore e fondante che è il bene comune".
È relativamente ad una esigenza di etica dell’economia si dice: "C'è bisogno di ritrovarsi nella "verità" per armonizzare l'ordine dell’uomo e l'ordine delle cose, l’ordine del lavoro e l'ordine del denaro. Occorre che la solida prevalga sull'individualismo il lavoro abbia il primato sulla proprietà. Tutto ciò potrà realizzarsi se verrà riconosciuto l'ordine della creazione, senza lasciarsi fuorviare da una pretesa 'libertà', alienata, spesso dall'idolo del denaro" (n. 17).
Il concilio Vaticano Il (Gaudium et Spes, 64) rileva: "Il fine ultimo e fondamentale dello sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni produttivi né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì nel servizio dell’uomo integralmente considerato: Il controllo dello sviluppo economico spetta all'uomo: non bisogna lasciarlo in mano di pochi, né di un processo quasi meccanico dell’attività economica. Ed ancora, lo sviluppo economico deve tendere ad eliminare le disuguaglianze economico-sociali e non ad accrescerla ancora". Anche nella nostra terra, il Giubileo, ci impegna a saper fare economia per servire l'uomo e non per servirsi dell’uomo; ci chiede più giustizia, coraggio imprenditoriale, società nella misura ed orientamento di ogni avere alla crescita dell'essere.

La multimedialità

28.c) La multimedialità, nuovo areopago, non ci vuole con gli occhi chiusi ma purificati. Ci vuole antenne vive per cogliere la valenza di nuove mediazioni, di nuovi linguaggi per l'umanizzazione della storia. per una attenta evangelizzazione, con un discernimento serio ed una ascetica comportamentale per non farsi manipolare e per trovare valide vie educative per le nuove generazioni onde non si smarriscano nel virtuale evadendo la realtà, non si modellino sul banale, sul falso ma abbiano sguardo purificato dal collirio della fede per cogliere le cose, la vita e contemplando le meraviglie di Dio sappiano discernere il bene dal male.
La Chiesa deve essere generatrice di cultura, di un nuovo umanesimo, così come ha sempre fatto, aldilà di inevitabili ombre, nei secoli passati.
E sollecitata ad unificare i tanti linguaggi: quelli delle culture e quello dell'arte. E questa un'altra grande frontiera di comunicazione diretta all'uomo per la via del cuore, del sentimento, della bellezza.
La bellezza salverà il mondo, ha detto Voii Balthasar. Recentemente il Papa ha scritto una lettera agli artisti (4 /4/ 1999). L’arte, si dice, rivela ai cuori ciò che nessuna scienza può rivelare alle menti. Così la Chiesa, come eco dello Spirito che pervade l'universo e fa nuove tutte le cose interpreta tutte le lingue e da voce ad ogni energia dello Spirito per una rinnovata Pentecoste.

L'èthos laicista

28.d) Oggi, e lo dico con rispetto, emerge in molti, a modo di ostentazione, una qualificazione culturale di se stessi, che fa dichiarare: "Io sono laico". Con questo si intende distinguersi dall'essere "confessionale" o peggio "clericale".
Tale sottolineatura culturale potrebbe avere un valore solo quando ci si oppone a forme integraliste o preconcette di credenti immaturi che catalogano tutto evitando ogni analisi scientifica e razionale. Tra fede e cultura, ci ha detto il Papa nell'ultima enciclica Fides et ratio, non c'è opposizione, purché l'una e l'altra siano genuine, aperte e dialoganti.
L'èthos laicista, invece, pur avendo, in alcuni, alla radice una tensione ideale, si preclude a questo dialogo e tutto commisura a livello razionale, ponendo la fede a livello di opinione, di volontarismo, di emozione, e, forse, nel sottofondo la relega ad "infantilismo" culturale di "creduloni", mentre "l'uomo laico" è l'uomo culturalmente adulto, maturo.
A riguardo c'è una seria riflessione da fare.
Io sogno una "cattedra" per laici in occasione del Giubileo, nella individuazione dei "nuovi areopaghi". In questo spazio individuo lo sgonfiamento di tante incomprensioni e la base di serie riflessioni.
L'èthos laicista, pur rispettabile, è frutto dell'illuminismo, è figlio del soggettivismo.
Nulla è vero, si dice, se non è scientificamente osservabile e razionalmente verificabile.
Ci piace, a riguardo, riportare un pensiero di Edith Stein, la filosofa crocifissa, uccisa nei forni crematori nazisti. Nel vestibolo della sua conversione sentì di scrivere: "Spingendo il ragionamento alle estreme conseguenze, si prende coscienza dei propri limiti, si verifica cioè una radicalizzazione che porta alla scoperta dell'ultima e più alta verità, facendoci prendere coscienza che tutto il nostro sapere non è nient'altro che un rattoppo. Allora si frantuma ogni orgoglio e si frammentano due eventualità: o si approda nella disperazione, o si accetta di venerare l'impenetrabile verità accogliendo nell'umiltà della fede ciò di cui l'attività naturale della ragione non può appropriarsi. A questo punto, alla luce della verità eterna l'intellettuale recepisce il giusto punto di vista del suo intelletto personale. Si rende conto che le ultime e più alla verità non vengono svelate dall'intelligenza umana e che, nei problemi più essenziali e, perciò, nella vita pratica, un semplice essere umano è in grado, sulla base di una illuminazione che proviene dall'alto, di avere la meglio sul più grande erudito.
Per un altro verso, individua il campo legittimo dell'attività naturale della ragione e, allo stesso modo del contadino che coltiva il suo campo, assolve il suo compito come qualcosa di utile e di buono, ma che, come ogni opera buona, rimane sempre confinato in anguste frontiere".
Il laicismo esasperato, oltreché presuntuoso, può essere evasivo. Infatti, dice che la fede, se e quando c'è, è un fatto interiore che non è influente sul piano sociale, culturale e quindi, senza accorgersi, isterilisce ogni fecondità dialogica, ogni interpretazione, ogni apertura.
Possa questo Giubileo portarci ad umiltà reciproca per aprirci a spazi di ricerca seria e di riconciliazione tra fede e ragione, tra fede e storia, tra laicità, che non è laicismo, ed ecclesialità.

  Conclusione

29) Il Giubileo e così il Cristo salvezza ricapitolatrice del mondo di oggi anche per mezzo di noi cristiani E il cogliere l'oggi della stona nella perenne novità del Vangelo: è il vivere il tempo fattosi "breve" nella sua fontalità dall'Eterno e nel suo cammino verso il compimento finale. Il Giubileo ci scuote tutti ci provoca a conversione, a riconciliazione, ad essere veicoli di verità, di liberazione, di unità e di speranza
Il Comitato Diocesano per l'Anno Santo vi offrirà il calendario di tutti i momenti celebrativi del grande Giubileo: dell’apertura di esso in Diocesi, dei luoghi della indulgenza, dei pellegrinaggi ed itinerari penitenziali, dei grandi momenti d'incontro per tante categorie umane.
Sono certo che se i nostri passi batteranno la strada di Dio ci accorgeremo che il Signore ci aspetta per camminare con noi ed aprirci i varchi della speranza.

Festa della Madonna del Pilerio, 8 settembre 1999.
+ Giuseppe Agostino
Arcivescovo di Cosenza-Bisignano