AD ALTILIA UN PITTORE FIAMMINGO
A cura di John Alessio e Antonio De Rose

LA SCUOLA FIAMMINGA

Nel secolo XVII si sviluppò una singolare fioritura pittorica in diversi paesi europei e vengono presi in considerazione soggetti che nei secoli precedenti avevano avuto funzioni decorative e secondarie come, ad esempio, paesaggi, animali, fiori ed elementi di natura morta.
Pertanto, si delinearono due tendenze: l'Eclettica e la Naturalistica; la prima cercava di ispirarsi alle opere degli antiche maestri, mentre la seconda si atteneva esclusivamente alla imitazione della natura.
In Italia nasceva il Barocco, una rivoluzione culturale in nome della ideologia cattolica, mentre, al principio del XVII sec., nell'area geografica delle fiandre nacque e si sviluppò la scuola Fiamminga.
I pittori fiamminghi solevano dipingere in gran parte soggetti religiosi e adornare le chiese di vaste composizioni e tra di essi ricordiamo Giovanni Van Eyck, grande perfezionatore della pittura ad olio e Paolo Rubens nel quale si personificano e si compiono tutte le virtù dell' arte fiamminga. Ricordiamo altresì i nomi di Antonio Van Dyck, Davide Teniers, Jordanes, Potter, Vleughel, Guglielmo Borremans.
I caratteri distintivi di questa scuola divennero: "lo splendore di colori, un chiaroscuro magico, un disegno sapiente, grandiosità nella composizione, una nobiltà nelle figure, espressioni forti e naturali ed una bellezza nazionale che non è né quella dell'antico, né quella della scuola romana o lombarda, ma che è capace e degna del pari di piacere". [Manuale Pratico di tecniche pittoriche (di Gino Piva Hoepli)]

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Guglielmo Borremans nacque ad Anversa, Belgio, probabilmente nel 1672 e di lui si conservano notizie in fiandre fino al 1693 negli archivi delle Belle Arti di Anversa, dove, nei vari concorsi indetti dall'Accademia delle Belle Arti, risultò fra i primi negli anni compresi tra il 1691 e il 1693.
Dopo tale anno non si hanno più notizie certe del pittore nel paese natio e delle sue opere eseguite in patria non se ne ha più traccia.
Un problema fondamentale, per la ricostruzione della sua attività artistica, rimane quello di stabilire il momento della sua venuta in Italia, da collocare, presumibilmente, verso la fine del XVII°sec., anche se la data più antica del Borremans registrata in Italia è il 1703.
Il pittore fiammingo giunse dunque in Italia intorno o poco prima del 1700, ed è da ritenersi che il suo primo soggiorno in Italia fosse Napoli, centro culturale del Regno, dove, peraltro esisteva una piccola colonia di pittori fiamminghi e offriva maggiori possibilità di lavoro al forestiero alcune opere risentono marginalmente dell'influenza napoletana. Ma, nonostante questo, il Borremans sembra non sia riuscito ad inserirsi saldamente nella vita pittorica partenopea, dominata dal Solimena e dalla sua scuola e si può supporre che, proprio a causa della limitatezza del commissioni ottenute, fosse costretto a cercare lavoro altrove.
Nei primi anni del XVIII secolo il Borremans risulta particolarmente attivo a Cosenza e nel territorio (Scigliano - fraz. Diano - "Tela dell'Assunta" 1706 ed Altilia "Tela dell'Assunta", stesso periodo):
La prima traccia della sua presenza nell'Italia meridionale rimane il dipinto del 1703, già esistente Cosenza, che raffigurava "5. Antonio in ginocchio davanti alla Madonna ed al Bambino"; essendo oggi questa opera irreperibile, una eventuale analisi della prima attività del Borremans dovrebbe basarsi sulle tele della Chiesa dei PP. Riformati di Cosenza, già datate al 1704.
Esaminando queste tele, si nota quanto il pittore difficilmente si adegui alle esigenze compositive del barocco italiano, anzi, è da notare la resa naturalistica di alcuni dettagli, soprattutto dei tralci d natura morta", che si ricollegano alla tradizione fiamminga. Esse dimostrano, inoltre, le difficoltà del pittore nel creare un insieme organico nelle stesse composizioni, la sua non perfetta conoscenza dell'anatomia, le sue incertezze nel disegno delle figure e, si direbbe una certa impazienza nella ­condotta pittorica, solitamente veloce; infatti, egli appare più a suo agio dipingendo animali o motivi di natura morta.
Altri importanti documenti del Borremans a Cosenza sono le tele dell'Arciconfraternita di S. Caterina, della Chiesa di S. Francesco d'Assisi, eseguite nel 1705, dove, in confronto con le tele della Chiesa dei PP. Riformati, il discorso pittorico appare più sciolto e più raffinato, la condotta pittorica risulta più accurata e più precisa e con l'abile gioco di luce ed ombra sui volti, il pittore riesce a raggiungere risultati gradevoli, dove convivono una sempre maggiore attenzione alla scuola napoletana e alle tendenze naturalistiche di natura fiamminga.
Dopo questo periodo cosentino, il Borremans ricompare a Napoli nel 1708, ma sembra che non sia riuscito ad inserirsi saldamente nella vita pittorica partenopea, dominata dal Solimena e dalla sua scuola e si può supporre che, proprio a causa della limitatezza delle commissioni ottenute, fu costretto a trasferirsi in Sicilia intorno al 1715, in un'area già frequentata da artisti fiamminghi, che lo ospiterà fino alla sua morte, avvenuta a Palermo all'età di 74 anni.
Il primo incarico che ricevette in questa regione (Sicilia) fu quello di dipingere il soffitto della oggi distrutta Chiesa della Madonna della Volta a Palermo, firmato e datato 1715.
Successivamente, con la scomparsa del Grano e la partenza di Tancredi nel Messinese, il Borremans divenne l'artefice più richiesto nel campo pittorico, iniziando un'attività intensa di fornitore di dipinti d'altare e decoratore ad affresco che lo porterà a spostarsi in molti luoghi della Sicilia centro-occidentale. A lui si devono le "Scene della Vita di Santa Teresa" nella Chiesa dell'Assunta di Palermo (1716); "L'Immacolata e dipinti raffiguranti Santi" per il Convento della Concezione di 
Buccheri, oggi al Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa; la Cupola della Chiesa di S: Giuseppe di Teatni (1724) di Palemo: la decorazione del Duomo di Caltanisetta (1720).
Negli ultimi anni della sua vita è probabile che l’artista rallentasse la sua attività e non affrontasse più compiti di maggiore respiro.
Morì il17 aprile sul 1744 e fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini a Palermo.

La tela dell’Assunta di Altilia, restaurata presso il Gabinetto di Restauro della Soprintendenza di Cosenza e ora custodita nella locale Chiesa parrocchiale, già monumento nazionale, appartiene all'ultimo momento stilistico cosentino del Borremans.
L'opera, posta sull'altare maggiore, è firmata G. Borremans, ma non datata e considerazioni di stile fanno supporre che risalga allo stesso periodo dei dipinti conservati a Cosenza; infatti, confrontando il dipinto di Altilia con la scena analoga della Chiesa dei PP. Riformati, non si notano che poche varianti nell'ordine compositivo.
Nel caso dell'opera altiliese (probabilmente eseguita nel 1706), si direbbe di trovarsi di fronte ad un'edizione posteriore a quella del 1704 conservata a Cosenza, in quanto appare accentuato lo sforzo del pittore fiammingo di adeguarsi al gusto e agli ideali artistici del barocco italiano.
Il materiale usato per la realizzazione è olio su tela e il segno è tracciato in modo veloce. La linea di contorno è morbida e scorrevole, senza spigolature e spezzettature; la superficie è liscia e la pennellata risulta essere levigata e non rugosa o corposa.
Il lavoro pittorico, nel suo insieme, produce calore, morbidezza e leggerezza e i colori che prevalgono, sia per intensità che per ampiezza, sono il rosso ed il giallo, anche se sono presenti sia colori scuri che colori chiari; infatti, l'opera è un chiaro a fondo scuro. La luce proviene dall'alto, producendo forti contrasti e splendidi chiaro scuri.
La Vergine è rappresentata su una nuvola, con le braccia incrociate al petto, e con il viso volto in alto a sinistra.
L'angelo in primo piano, che regge la nuvola, è col viso rivolto al fondo e appare assai simile al suo variante cosentino, ma con un movimento a spirale ancora più accentuato, quasi impossibile in natura.
Tale figura sembra essere anche qui un po' fuori posto, come se fosse stata estrapolata da un altro contesto, probabilmente da una fonte, almeno indirettamente, marattesca.
Nella parte superiore della tela sono presenti cinque cherubini, di cui tre raffigurati in primo piano e due, posti lateralmente, a figura intera, uno dei quali fa cadere dei fiori nella tomba vuota, posta in basso a destra in posizione scorciata, dove è inciso il nome dell'artista fiammingo.

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