FESTE CARNEVALESCHE

Il carnevale altiliese era vissuto con grande entusiasmo dai giovani del luogo, stimolati dall'attività culturale di diversi insegnanti, fra cui primeggiava il compianto Attilio Adamo, Sindaco del paese, dotato di una ragguardevole vena poetica che gli consentiva di comporre farse carnevalesche che venivano rappresentate in piazza.
La rappresentazione avveniva nelle ore pomeridiane del martedì, dopo lunghe prove nelle aule scolastiche o in qualche casa privata.
L'attesa era grande perché l'ironia, il paradosso, la battuta pescata dagli avvenimenti verificatisi durante l'anno nel paese, acquistavano un sapore beffardo, che ben pochi sono riusciti ad imitare.
I malitesi tentarono di emularlo, rappresentando nelle piazze di Altilia alcune farse con risultato poco apprezzabile, tanto che gli abitanti dei paesi vicini invitavano l'Adamo a volere replicare le sue opere nei loro centri, Malito compresa. Ricordo una poesiola inserita in una farsa composta da malitesi che suonava così:
Tegnu 'na fame tanta appitittevule
chi me mancerra tri orta de cavu li,
tri quadareddi de fave scuccivuli,
tri pignateddi de lardu vuddutu!
Na furnata de pane nun nie vasta,
de na vutte de vinu nun ininne resta.
Tale poesiola in farsa procurò mordaci canzonature ai malitesi, compaesani del quadrumviro Michele Bianchi. Le canzonature erano relative alla fame declamata, evidentemente non appagata durante il ventennio fascista (pur avendo ricevuto benefici e privilegi tanto da far perdere l'autonomia amministrativa ad Altilia che la subì insieme alle purghe, non avendo partecipato al fanatismo dei suoi fautori) adombrandoli così di una voracità fuori dal comune.
La domenica e il lunedì di Carnevale erano ravvivate da giovani che si mascheravano nei modi più disparati e che circolavano per le strade effettuando improvvisate e scherzi ad amici e parenti.
Tradizionalmente l'altiliese andava dicendo:
Duminica, luni e marti nun sefa nessuna arte, ma se pensa ppe' manciare: sunu i tri jurni de carnelevara.
Carnem levare ha il significato preciso di eliminare la carne dal proprio pasto nel periodo quaresimale. Ed a ciò si attenevano gli altiliesi per i 40 giorni della quaresima, ma non prima di avere trascorso il carnevale, soprattutto a pranzo, con un menù costituito da un primo piatto di purpette, delle dimensioni di una palla di biliardo, preparate con molliche di pane inumidite, impastate con uova, salsiccia o soppressata finemente tritata a mano, formaggio pecorino, prezzemolo, aglio tritato e sale.

FESTE CARNEVALESCHE

Il carnevale altiliese era vissuto con grande entusiasmo dai giovani del luogo, stimolati dall'attività culturale di diversi insegnanti, fra cui primeggiava il compianto Attilio Adamo, Sindaco del paese, dotato di una ragguardevole vena poetica che gli consentiva di comporre farse carnevalesche che venivano rappresentate in piazza.
La rappresentazione avveniva nelle ore pomeridiane del martedì, dopo lunghe prove nelle aule scolastiche o in qualche casa privata.
L'attesa era grande perché l'ironia, il paradosso, la battuta pescata dagli avvenimenti verificatisi durante l'anno nel paese, acquistavano un sapore beffardo, che ben pochi sono riusciti ad imitare.
I malitesi tentarono di emularlo, rappresentando nelle piazze di Altilia alcune farse con risultato poco apprezzabile, tanto che gli abitanti dei paesi vicini invitavano l'Adamo a volere replicare le sue opere nei loro centri, Malito compresa. Ricordo una poesiola inserita in una farsa composta da malitesi che suonava così:
Tegnu 'na fame tanta appitittevule
chi me mancerra tri orta de cavu li,
tri quadareddi de fave scuccivuli,
tri pignateddi de lardu vuddutu!
Na furnata de pane nun nie vasta,
de na vutte de vinu nun ininne resta.
Tale poesiola in farsa procurò mordaci canzonature ai malitesi, compaesani del quadrumviro Michele Bianchi. Le canzonature erano relative alla fame declamata, evidentemente non appagata durante il ventennio fascista (pur avendo ricevuto benefici e privilegi tanto da far perdere l'autonomia amministrativa ad Altilia che la subì insieme alle purghe, non avendo partecipato al fanatismo dei suoi fautori) adombrandoli così di una voracità fuori dal comune.
La domenica e il lunedì di Carnevale erano ravvivate da giovani che si mascheravano nei modi più disparati e che circolavano per le strade effettuando improvvisate e scherzi ad amici e parenti.
Tradizionalmente l'altiliese andava dicendo:
Duminica, luni e marti nun sefa nessuna arte, ma se pensa ppe' manciare: sunu i tri jurni de carnelevara.
Carnem levare ha il significato preciso di eliminare la carne dal proprio pasto nel periodo quaresimale. Ed a ciò si attenevano gli altiliesi per i 40 giorni della quaresima, ma non prima di avere trascorso il carnevale, soprattutto a pranzo, con un menù costituito da un primo piatto di purpette, delle dimensioni di una palla di biliardo, preparate con molliche di pane inumidite, impastate con uova, salsiccia o soppressata finemente tritata a mano, formaggio pecorino, prezzemolo, aglio tritato e sale.