Da Altilia e la sua gente
Per gentile concessione dell’autore
GIANFRANCO FERRARI

INDICE
Posizione geografica     Le origini           La storia                Arte e monumenti
Il Convento        La Chiesa parrocchiale S. Maria Assunta             Le parrere


Posizione geografica

Altilia è un piccolo comune della provincia di Cosenza posto su un costone roccioso alla destra del fiume Savuto. Attraverso la rete stradale che la circonda, è collegata in maniera ottimale sia al capoluogo di provincia che al mare ed alla Sua, raggiungibili tutti in poco più di venti minuti. Infatti, dalla strada provinciale, che si innesta alla statale 18, si raggiunge Cosenza (a 37 Km), dalla superstrada per Colosimi si raggiunge la Sila (a 30Km) e dall'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria si arriva al mare Tirreno all'altezza dello svincolo autostradale di Falerna (20 Km). Il suo territorio, di 10,70 Krnq, confina con quelli di Belsito, Carpanzano, Grimaldi, Malito, Pedivigliano e Scigliano nella provincia di Cosenza; con quello di Martirano Lombardo nella provincia di Catanzaro. Si estende nella Valle del Savuto fino all'estrema propaggine meridionale dell'Appennino paolano. Dall'alto dei suoi 594 m. s.l.m., è possibile godere di una meravigliosa vista della Valle del Savuto, la cui distesa, coronata da una miriade di paesi ed incastonata tra le catene montuose del Reventino e del Santa Lucerna, spazia fino al Mare Tirreno (Vucca 'e mare).
La popolazione, di circa mille abitanti, è distribuita tra l'omonimo capoluogo, la frazione Maione, numerose contrade e case sparse nelle vicine campagne. La sua economia, essenzialmente agricola, si basa sulla produzione di cereali, legumi, ortaggi ed olive oltre che sulle rimesse degli emigranti.
Lo sforzo sostenuto dalle Amministrazioni comunali nel corso degli ultimi lustri ha fatto si che, attraverso la creazione di importatiti infrastrutture di notevole rilevanza sociale, l'agricoltura, prima legata a metodi e sistemi primitivi, si ammodernasse secondo nuovi criteri tecnologici e che l'economia riprendesse vigore attraverso il sorgere di nuove strutture economico-commerciali ed attività imprenditoriali.

Le orogini

Sulle origini di Altilia esistono diverse tesi. Secondo Gabriele Barrio sarebbe sorta sulle rovine di un'antichissima città chiamata Astalonga, ubicata ai piedi della collina lungo la Valle del Savuto, che la tradizione locale chiama Stralonga. Questa tesi non sembra però suffragata da elementi tali che possano farla ritenere veritiera, anche perché, nel corso degli anni, non sono mai stati rinvenuti reperti che possano confermarla. Più probabile che lungo la vallata del Savuto si estendesse l'influenza di una antica città - Temesa o Terina - che si vuole ubicata alla foce del fiume, per cui Stralonga potrebbe essere il termine con cui veniva volgarmente indicata questa città (Astralonga). Altre fonti ci dicono che il paese fu fondato da Giovan Corrado e Altilio dell'Alimena. È infatti opinione della maggior parte degli scrittori che la famiglia Alimena abbia avuto origine da Fustachio, cavaliere greco della corte di Basilio Il, il quale mandato in Calabria con la carica di Esarca, dimorando in Cosenza edificò lì vicino una terra che chiamò Alimena, in onore della madre, balia dello stesso Imperatore. Eustachio, ritornando in Grecia, ne fece donazione "con imperial licenza a Filippo suo figlio... i successori del quale poi presero per cognome il nome della loro terra, cioè dell'Alimena". Questa terra, distrutta dai Saraceni, fli quindi riedificata da Giovan Corrado e Altilio dell'Alimena durante il loro governo della Provincia di Cosenza al tempo di Guglielmo il Buono, 1166-11892. Questa tesi contrasterebbe però sia con la precedente che con quella di quanti altri vorrebbero Altilia fondata come Casale di Cosenza all'epoca delle invasioni saraceniche del secolo decimo. È infatti opinione comune degli studiosi dei Casali che essi non furono fondati bensì ripopolati dai Cosentini che, per sfuggire alla ferocia dei Saraceni, si rifugiarono con i loro "Signori" nei feudi circostanti. Altilia, feudo degli Scaglione e degli Alimena, fu quindi anch'essa ripopolata da queste famiglie e dai loro parenti e sudditi. L'ipotesi più verosimile sembrerebbe quindi essere quella che vorrebbe il sito di Altilia frequentato da antiche comunità e da altre poi, di volta in volta, ripopolato. Questa tesi si baserebbe sulle considerazioni che nella Valle del Savuto è ipotizzabile un antico tracciato che da Cosenza e da Santo Stefano di Rogliano "raggiungesse questo fiume e proseguisse poi fino alla foce "~, nonché sul fatto che vi fosse "un tracciato che discendeva lungo questo importante corso d'acqua, ricostruibile sulla linea di una serie di strade e mulattiere; esso raggiungeva Contrada Pianetti-Donnico di Grimaldi", dove sono venute alla luce tombe con vari ritrovamenti m terracotta del periodo ellenistico, ascrivibile al III secolo. Una parte del tracciato proseguiva poi verso il Savuto e lo seguiva fino alla foce. Altra importante via di comunicazione era quella che viene comunemente indicata come Popilia, che attraversava il Savuto con il ponte cosiddetto di Annibale, dove era presente una stazione di posta. Trovandosi dunque, il sito di Altilia, al centro di un così importante sistema viario, è ipotizzabile che esso fosse effettivamente frequentato in epoca assai remota da genti dedite alla pastorizia ed all'agricoltura e che nel corso degli anni fosse da altri ripopolato. Altilia quindi non sembrerebbe fondata dagli Alimena, ma anche da essi ripopolata insieme ai loro familiari e sudditi, provenienti dalla terra di Alimena, che gli antichi scrittori pongono nei pressi di Mendicino, dove ancora oggi scorre un omonimo torrente Alimena.
La tesi sembrerebbe confermare, almeno in parte, quanto sostenuto da Davide Andreotti, che nella sua Storia dei Cosentini scrive che "un altro Casale che non fu fondato ma ripopolato da gente Cosentina nel 986, è Mtilia, sul Savuto: antichissima Rocca di Mamerto, e con Motta Santa Lucia fortificazione avanzata di quella fortissima città Bruzia che fu l'attuale Martorano". Senza voler entrare nel merito della ubicazione dell'antica Mamerto, possiamo però dedurre che se Altilia fosse stata un avamposto fortificato di Mamerto e che se la sua gente avesse partecipato alla famosa battaglia contro Pirro al Campo di Malito - dove la tradizione vuole rinvenuta una lapide con iscrizione su cui era inciso un serpente, emblema di Pirro - allora effettivamente il sito di Altilia risalirebbe ad epoca molto antica.

La storia

Anche se le origini di Altilia ci si presentano in maniera non del tutto chiara, possiamo comunque asserire che essa esisteva come borgo medievale. Questa brettica cittadella, come viene appellata dagli storici, fu un tempo circondata da fortificazioni che dalla china dell'Annunziata, dove esisteva anche un'artistica chiesetta omonima, per il Monastero in San Lorenzo e l'attuale quartiere della Fornace, congiungeva alla Porta, i cui avanzi delle mura erano ben visibili fino a qualche anno addietro. Con tali fortificazioni si poteva accedere all'abitato solo dalle due porte esistenti all'estremità del paese e cioè quella che attualmente viene chiamata La Porta e dall'altra in San Lorenzo, volgarmente chiamata Casella del fosso'.  Nel 986 Altilia era dunque un aggregato di poche case su cui signoreggiavano due nobilissime famiglie: Scaglione ed Mimena. Ben presto però la popolazione ascese a quattromila anime anche se dopo le devastazioni che seguirono alla lotta tra Angioini ed Aragonesi ridussero fortemente il progresso e lo sviluppo, tanto che nel 1495, quando Ferdinando d'Aragona investi del feudo degli Alimena e Scaglione il suo maestro di campo Pietro Francesco Marsico di Altilia, il paese era ormai decaduto per popolazione e floridezza. Il movimento demografico segna infatti 112 fuochi nel 1445, anche se inseguito ritornerà ad aumentare: 128 nel 1532, 222 nel 1545 e 292 nel l669. Dal 986, per tutto il periodo medievale ed oltre, Altilia lego la sua storia a quella dei Casali cosentini, paesi a levante ed a ponente di Cosenza, in parte originati dall'esodo di cosentini dalla città attaccata dagli Arabi nel corso del decimo secolo e strettamente legati alla città di cui erano parte integrante. Dal 1054 al 1065 Altilia è infatti coinvolta nella guerra con i Normanni, che venuti in Italia come mercenari, finirono poi con l'impadronirsi dei feudi dei signori locali, tra cui i feudi di Aiello e Martirano Nel frattempo, dopo la guerra tra i fratelli Altavilla e la loro successiva riappacificazione, la Calabria fu divisa tra i due normanni ed a Ruggero fu affidata la zona di Cosenza e Casali, cui furono confermati tutti i precedenti privilegi; sotto il suo governo fiorirono le arti ed il commercio. Dopo il disastroso terremoto del 9 maggio 1184 che distrusse la Cattedrale di Cosenza e fece crollare, tra l'altro, in Altilia la Chiesa di San Lorenzo, antica casa degli Agostiniani, niente altro, sembra, sia dato sapere sui secoli successivi. Per avere altre notizie bisogna infatti arrivare a metà del secolo XV, quando 10 spirito rivoluzionario, che avrebbe animato gli Altiliesi durante il Risorgimento, comincia a delinearsi con la rivolta di Antonio Centelles, cui i nostri antenati diedero il loro contributo e a causa della quale il paese ebbe molto a soffrire. Altri ragguagli relativi al secolo XV, si hanno in merito alla terribile pestilenza che colpi Napoli, Cosenza e i Casali nel 14;22. Alla voce fatta circolare dagli Angioini, che l'epidemia fosse opera del governo, il 15 maggio 1422 Cosenza insorse insieme a' suoi Casali, ad eccezione di San Pietro Carolei, Mendicino, Porchia (attuale Motta Santa Lucia), Altilia e Dipignano perché presidiati dalle armi della Regina Giovanna. Luigi d'Angiò ebbe la meglio e tutti coloro che avevano parteggiato per Giovanna persero privilegi Nel 1496 e fino al 1579 Altilia fu compresa nella Contea di Martirano e prese molto da questo paese, con il quale ebbe identità di dialetto, di abbigliamento, di tradizioni, usi, costumi e culto. In questo periodo il paese ebbe un grosso incremento commerciale ad opera degli Ebrei che, probabilmente, vi introdussero e perfezionarono l'arte della seta, sfruttata dagli Altiliesi soprattutto per la fattura di ottimi setacci.Scrive infatti Vincenzo Padula che "da tempo immemorabile questa terra esercita un'arte che passa da padre a figlio. L'abitante di Altilia è girovago; percorre tutt'Italia, monta in nave e va in America. Ha un furbesco, ch'ei favella un coltello linguaggio coi suoi compagni: di un'aguglia, un filo, un rotolo di cerchi di faggio ed un altro stamigna gli bastano per vivere. Costruisce e vende stacci, e tutta Italia si può dire che mangi un pane, la cui farina passò per la stamigna di Altilia". L'arte di lavorare la seta fece si che gli Altiliesi venissero chiamati sitarzarì o crivari, mentre all'arte della manifattura di setacci viene fatta risalire da alcuni l'etimologia del suo nome dal greco a-telia che vuol dire appunto il cerchio dello staccio. L'etimologia è comunque in contrasto con un'altra che vuole il nome di Altilia derivato da Atéleia che significa invece immunità dai tributi. Appartenne quindi ai De Gennaro dai quali passò ai d'Aquino di Crucoli, per ritornare poi nel regio demanio. Nel 1596, a causa delle gravi condizioni economiche della Spagna e del suo vicereame, Filippo Il decise di vendere i Casali. Il Parlamento delle Università di Cosenza e Casali, formato da deputati in proporzione alla popolazione, riunitosi nel Duomo di Cosenza, sede abituale del Parlamento, stabili di resistere a tale decisione di vendita Tra le varie tesi prevalse quella più moderata che proponeva il riscatto dei Casali con l'offerta al vicerè Enrico Guzman, conte di Olivares, di una somma di quarantamila ducati. Venne quindi stipulato un contratto con il conte Olivares in cui si stabiliva che i Casali non sarebbero stati più venduti. Grazie a questo contratto ed alla somma di quarantamila ducati i Casali si liberarono del giogo feudale acquistando il diritto a restare padroni di se stessi. Ma nel 1631, nonostante l'acquisto ed il patto, i Casali "furono indotti, per mantenersi nel diritto, a versare sessantamila ducati. Peggio andò nel 1644 quando, posti in vendita, vengono acquistati dal Granduca di Toscana, che manda un Governatore Generale, il cavaliere di Malta Pietro Maria Saracino, senese" Tale vendita riguardò ottantadue Casali tra cui Altilia che fu consegnata il 19 luglio dello stesso anno. Ovviamente i Casalesi non accettarono la vendita per cui incaricarono Giovarmi Barracco, che risiedeva a Madrid, di chiederne al Re l'annullamento. Tale situazione durò fino al 1646 quando in seguito alla rivolta di Celico ed a quella di Masaniello, i Casali ritornarono a far parte del regio demanio. In mezzo a questi avvenimenti c'è da registrare il violentissimo terremoto del 27 settembre 1638 che interessò la parte centro meridionale della Calabria. Altilia fu quasi totalmente distrutta poiché crollarono ben 235 case, sotto le cui macerie perirono, come riferito da L. D'Orsi, 132 uomini, 191 donne, 332 figliuoli e figliuole.
Nel 1640, in una relazione fatta da Hettore Capecelatro, allegata all'opera del D'Orsi, si legge che Altilia è disfatta e si pensa addirittura di costruire le case altrove. Altilia fu ancora duramente colpita dai terremoti del 1783 e 1854. L'ordinamento amministrativo disposto nel 1799 dal Generale Championnet comprese Altilia nel Cantone di Belmonte, mentre veniva riconosciuto "Luogo" dall'ordinamento francese del 1806 e Comune da quello successivo del 1811, che gli assegnava Maione come frazione, ed appartenne al Governo di Carpanzano. In seguito alla caduta di Napoleone, Altilia fece parte del Regno di Napoli e proprio in questo piccolo paese sorse, nel 1811, la prima vendita carbonara della Calabria. Promotore ne fu il medico Gabriele De Gotti, che la sera del 29 novembre 1811, insieme ad altri notabili fatti convenire in casa sua, gettò le basi della Carboneria calabrese tracciandone anche il programma. Fu proprio sull'esempio del De Gotti che ben presto cominciarono a sorgere altre vendite a Cosenza, Paola, Aprighano e via via negli altri centri calabresi attirando magistrati, soldati e finanche ecclesiastici. I più quotati ed influenti carbonari erano i Lupinacci, i De Santis e Domenico Vanni in Cosenza, il capitano Vigna in Aprigliano, il sindaco Giannone in Acri, i Poerio ed i Marincola a Catanzaro, l'arciprete Cervadoro in Maida, il barone Nicotera in Nicastro, i Plutino e Federico Genovese in Reggio, i Romeo in Santo Stefano d'Aspromonte e tanti altri ancora. Ma il più autorevole rappresentante della Carboneria calabrese resta, in ogni caso, l'altiliese Vincenzo Federici, detto Capobianco. Proprio da Altilia partirono i primi tentativi di insurrezione ad opera di Federici ed altri carbonari che nella fiera del Savuto del 1813, levarono il grido di ribellione, subito seguiti da altri paesi quali Aprigliano e Scigliano che piantarono l'albero della libertà. La rivolta venne soffocata dal comandante il presidio cosentino Giuseppe Jannelli che occupò i paesi ribelli incarcerando parecchi patrioti, in seguito liberati. Lo stesso Federici venne catturato a tradimento ed immediatamente giustiziato. Il sangue del martire altiliese produsse però i suoi frutti; Altilia, mossa da sentimenti di libertà, unità e indipendenza, continuò ad agitare la provincia di Cosenza e la Calabria tutta, provocando un gran fermento per quell'alone di liberalismo in moto in più punti d'Europa. Alla testa del movimento liberale cosentino troviamo, oltre a Domenico Mauro di San Demetrio Corone e a Tornmaso Ortale di Marzi - che fu il difensore dei Fratelli Bandiera -, gli altiliesi Luigi Caruso, Gaspare Marsico e Francesco Federici, figlio del Capobianco. 1118 maggio 1848 fu nominato il primo Comitato di salute pubblica che doveva dirigere il movimento rivoluzionario calabrese; Francesco Federici venne chiamato a reggere gli "Affari di giustizia". Successivamente entrò a far parte del Comitato di salute pubblica anche Gaspare Marsico. I moti del 1848 non sortirono però gli effetti sperati tanto che Luigi Caruso fu costretto a scappare in esilio a Corfù, mentre a carico di Francesco Federici e Gaspare Marsico venne intentato un processo dalla Gran Corte Criminale speciale di Cosenza, accusati di: "I) attentati e cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato; 2) provocazione di reati contro lo Stato con discorsi e con scritti messi a stampa, tenuti e affissi in luoghi pubblici; 3) arruolamenti in bande armate esercitando un comando, o una funzione; 4) tutti i reati diretti al fine di distruggere e cambiare il Governo, con reità politica". La sentenza fu condanna alla "pena di morte di 30 grado di pubblico scempio" (non eseguita per fuga in esilio). Dopo l'Unità d'Italia, Altilia fece parte del circondano di Carpanzano ed i suoi 1.142 abitanti (censimento 1861) dovettero fare i conti con le condizioni di indigenza di quell'epoca. Nonostante tutto, gli Altiliesi cercarono in ogni modo di industriarsi e soprattutto non si lasciarono relegare ai margini della vita politica e sociale, partecipando attivamente alle scelte degli uomini che avrebbero dovuto rappresentarli al Parlamento nazionale. Il 23 ottobre 1890 si formò ad Altilia un Comitato elettorale che aveva lo scopo di difendere gli obliati interessi del paese. Promotore e presidente ne fu Fortunato Ferrari che il 13 novembre dello stesso anno assicurava il suo appoggio e quello degli Altiliesi ai candidati Mirabelli, Quintieri, Nicoletti e Baroni, quali persone di chiara fama e specchiata onesta, in grado di garantire gli interessi dei cittadini. Ma le speranze per un miglioramento generale del paese andarono deluse perché Altilia restò nell'abbandono. La situazione non migliorò certo con l'avvento del nuovo secolo se nella cronaca dei giornali della provincia leggiamo in continuazione le lagnanze degli Altiliesi. Significativi sono alcuni articoli apparsi sulla Cronca di Calabria dal 1913 al 1920 ad opera di G. Ferrari e L. Caruso, i quali mettevano in rilievo lo stato di abbandono totale del paese da parte del Governo e della Prefettura.
Ci si lamentava soprattutto della mancanza di strade di collega mento con Grimaldi e Malito che, nonostante le ripetute promesse e gli espletati appalti, tardavano ad essere realizzate; ma ci si lamentava anche della mancanza di generi alimentari di prima necessità quali zucchero, latte condensato, carne in conserva, pastina, riso e medicinali come il chinino e i disinfettanti.
La protesta degli Altiliesi raggiunse l'apice quando il Consiglio Comunale, incalzato dalla popolazione, si dimise in massa il 17 agosto 1919. Sull'esempio del Consiglio si dimisero anche: la Congregazione di carità, la Commissione comunale per l'annona e quella per l'avviamento al lavoro.
Vibratamente protestarono anche la Società Operaia ed i Combattenti e reduci della prima guerra mondiale, questi ultimi "raggruppati dal valoroso sergente dei granatieri Ferrari Scipione, con una lunga lettera spedita al Prefetto esposero le condizioni tristissime in cui vivevano coloro che il 24 maggio 1915 varcarono i l’Isonzo".   Nel 1924 finalmente furono ultimati "i lavori della strada comunale obbligatoria Altilia-Malito tratto Altilia-della Caprara". L'altro tratto Caprara-Malito fu completato nel 1927, mentre era in corso di realizzazione "il tronco Grimaldi-Altilia della strada nazionale 63". Nel 1928 una popolazione di milletrecento abitanti era ancora priva di acquedotto, anche se il relativo "progetto trovasi, per opera del Podestà, presso il Ministero dei Lavori Pubblici per la concessione del contributo statale". Nonostante la Federazione fascista di Cosenza affermasse che la istituzione del Podestà aveva "rincuorato la laboriosa popolazione di Altilia, lasciata in completo abbandono dai passati governi"'3, lo spirito degli Altiliesi, insofferente a qualsiasi forma di totalitarismo o dl limitazione, si manifestò, ancora una volta, con l'opposizione al regime ad opera di un gruppo guidato dall'anarchico Arturo Caruso. Tale spirito, come ricordano i più anziani, si manifestò con forza quando il socialista Pietro Mancini, assediato dai fascisti nella sua casa dell'Aria Rossa, venne prontamente liberato dagli Altiliesi che accorsero in massa armati, alla ben meglio, di falci, forconi, roncole ed altri attrezzi agricoli.  Aggregata a Malito, dal 1928 al 1937, Altilia perse la sua autonomia e fu ancora di più abbandonata a se stessa, come è testimoniato da vari interventi sulla stampa locale. Si lamentava in particolare la mancanza di un medico condotto che risiedesse in Altilia - situazione questa che provocava gravissimi disagi alla cittadinanza -, l'assoluta mancanza di igiene pubblica, per cui le vie del paese si presentavano piene di immondizie e maleodoranti, la ritardata consegna della corrispondenza, che doveva essere, prelevata a Malito dal procaccia postale, e la mancanza dell'acqua potabile. Le cose migliorarono con la nomina a Commissario prefettizio di Scipione Ferrari, che provvide all'acquedotto, e l'arrivo del medico condotto Walter Faralla nel 1937.  aduto il fascismo e pagato il suo tributo di martiri anche alla seconda guerra mondiale, Altilia si ritrovò con i problemi di sempre, aggravati, per giunta, dall'esodo di coloro i quali emigravano oltre Oceano per cercare fortuna. Infatti, dopo il I 950 si accentuò il fenomeno migratorio verso le Americhe prima e verso i paesi europei e del nord Italia dopo. Ci son voluti decenni prima che Altilia riacquistasse la fisionomia di paese attivo ed evoluto, attraverso interventi mirati alla difesa del suolo, alla riqualificazione del centro abitato ed allo sviluppo e riqualificazione dei prodotti tipici dell'artigianato. Attraverso l'attuazione di questi interventi, soprattutto negli Ultimi decenni, a guida del Sindaco Pasquale De Rose, Altilia è stata dotata di importanti strutture intese a valorizzare il suo patrimonio artistico e paesaggistico. È stato recuperato il centro storico dotandolo di strade, pur nel rispetto delle antichità, e si è indirizzata la politica comunale verso la vocazione turistica del paese che si propone anche come polo agrituristico. Altilia ha infatti una sua vocazione turistica per la posizione geografica che la pone, a ridosso dell'autostrada, in un comprensorio mediano, rispetto alla Sua piccola ed al Mar Tirreno, tale da favorire la nuova domanda di mare e di montagna. È proprio in questa. ottica che da qualche anno i giovani a'ti1jesi attuano iniziative intese a migliorare la quotidianità locale che sappia dare ai visitatori motivi di intrattenimento, anche attraverso le numerose attrezzature sportive. Con il recupero del vecchio convento e la realizzazione dell’area attrezzata delle Parrere, Atilia si è inserita a pieno titolo negli itinerari turistici d'avanguardia, proponendo un patrimonio culturale di particolare interesse, arricchito da beni paesaggistici e ambientali di notevole richiamo. Dopo aver programmato e realizzato le esigenze primarie della collettività nei due centri storici e nelle. diverse zone rurali, le amministrazioni guidate da De Rose hanno portato Altilia ad essere Un punto di riferimento nel comprensorio della Valle del Savuto e dell'intera regione. Altilia cosi si appresta a varcare la soglia del nuovo millennio con l'auspicio di raggiungere nuove mete per il benessere dei suoi cittadini.

Arte e Monumenti

Altilia, un tempo vivido centro specializzato per l'architettura e le decorazioni in pietra, presenta peculiari caratteristiche di antichità che sono presenti negli innumerevoli portali tufacei. Le finestre ed i balconi delle case più antiche sono ornate da meravigliose cornici di pietra, a manifattura locale, alcune delle quali rispecchiano preminentemente lo stile rinascimentale, per cui l'arte dello scalpello dei migliori maestri altiliesi si imponeva alla considerazione ed all'apprezzamento dell'intera regione. L'influenza artistica di queste antiche maestranze è presente in molti dei centri vicini: nel portale e nello stemma di palazzo Puglisi a Grimaldi, nel palazzo Berardelli a Martirano Vecchio e in alcuni altri di Scigliano; nella facciata neoclassica della Chiesa Matrice di Malito, nella Chiesa e nel campanile di Celico, nella Chiesa di Santo Stefano in Aprigliano, nella Chiesa di San Nicola in Pietrafitta, nella Chiesa parrocchiale di Belsito, la cui antica conca battesimale in tufo è intagliata dallo scalpello altillese, in alcune chiese di Rogliano, Figline Vegliaturo, Aiello, Nocera Terinese e nei lavori di restauro dei capitelli e delle colonne del Duomo di Cosenza. Altilia è tutta una stupenda fioritura di arte dello scalpello, attestata dalle opere esistenti e confermata dalla tradizione che si è tramandata da padre a figlio fino ai primi decenni di questo secolo. È nota infatti come culla di maestranze d'intagliatori di pietra, quali i celebri maestri Antonio Marsico, Gaetano e Giuseppe Caruso, Fortunato e Francesco Ferrari, facenti parte della schiera dei cinquantatré maestri scalpellini che appartennero alla scuola dello scalpello di Altilia e che fecero di questo piccolo paese un importante centro della storia dell'artigianato bruzio. Questa arte è espressa magnificamente nei numerosi portali in tufo locale, tra i quali fanno spicco quelli splendidamente ricamati delle case Carusi, Ferrari e Federici, che nascondono al loro interno i passaggi segreti usati dai Carbonari nel periodo risorgimentale, e della magnifica architettura dello storico palazzo municipale, appartenuto un tempo alla famiglia Marsico di Campitelli.

PALAZZO CARUSI - Via Bandicella - Proprietà fratelli Muraca -Fine secolo XVIIL
Probabile opera di Domenico Caruso, in pietra rossastra (la stessa degli ornati di Grimaldi) e di pregevole esecuzione, presenti un arco a tutto sesto riccamente ornato da motivi floreali e scanalature, sormontato da trabeazione finemente lavorata e racchiuso da una cornice aggettante.

PALAZZO FERRARI - Piazza Castello - Proprietà Michele Ferrari - Secolo XVIIL
Attribuito al maestro Fortunato Ferrari, presenta un arco a tatto sesto scanalato a più livelli e inquadrato in conci modanati; sulla trabeazione del primo livello poggia una artistica loggia.

PALAZZO FEDERICI - Via V Federici - Proprietà Falvo.
Elegante composizione di ignoto scalpellino locale, presenta il portale in pietra tufacea scolpita con arco a tutto sesto e costoni aggettanti.

PALAZZO MARSICO - Via Convento - Proprietà comunale.
Opera di elegante esecuzione attribuita ad Antonio Marsico (secolo XVII), presenta un arco a tutto sesto decorato con ornamenti a spirale intrecciata, rosette, stemmi, mascheroni e chiave di volta; il tutto è racchiuso da una cornice aggettante e sormontato da trabeazione. Sul portale si trova un artistico balcone con balaustra sagomata e colonne di elegante fattura sorretto da quattro piedini lavorati da spirali intrecciate e da quattro mascheroni raffiguranti le stagioni e che richiama lo stile dei palazzi di Noto, in Sicilia. Interessanti sono inoltre i portali di Casa Romano e Pagliuso in via Chiesa, di Casa fratelli Ferrari in via XX Settembre, Casa Caruso in via Federici, Case Maione e Alessio in vico I Chiesa, Casa Funari in via G.B. Caruso, in Altilia; nonché di Casa Chiarelli, Pagliuso, Gallucci e De Caro in Maione, tutti del sec. XIX.

Il Convento

Intitolato a Santa Maria delle Grazie fu edificato nel secolo XVI da Domenico Agacio e Gerolamo Cucaro per l'Ordine Francescano dei Minori Conventuali, come risulta dal documento 1752, riportato da Francesco Russo, in cui si legge "23 novembre 1532. Confirmatur erectio conventus, loci de Altilia, Cusentin. dioc., facta a Dominico Agacio et Hieronimo Cucari, pro Fratribus. Ord. Min. Conv., Prov. Calabriae", e da una epigrafe recuperata ed apposta sulla parete sud dell'abside della Chiesa. In essa si legge che Giacomo Antonio De Perna la pose a ricordo di Gerolamo Ferraro e Agazio Manziano, presbiteri, i quali diressero per diciannove anni la Comunità dei Francescani, fondata nell'aprile del 1533 insieme alla comunità locale; dal 1575 i loro corpi giacciono nella Chiesa, probabilmente sepolti in una delle tombe ai piedi del presbiterio. Retto dai Padri Conventuali, il Convento fu una fiocina di attività. Si formò, tra l'altro, una Congregazione di sedici sorelle terziarie dell'Ordine dei Minini, presieduta da Angelo Serra e retta insieme ad una certa Suor Perna. Della Congregazione fece parte anche Giovanna Caserta che, liberata dal demonio per opera di San Francesco di Paola, visse santamente e, sette settimane prima di morire, predisse il giorno e l'ora della sua morte, avendo visto in cielo Angelo Serra vicino a San Francesco. È probabile che in questo Convento sia sorta la scuola degli scalpellini ad opera dei monaci che contribuirono cosi alla evoluzione del la loro arte ed al miglioramento della cultura e della società. Il Convento restò ai Minori Conventuali fino all 768 e fu Soppresso nel 1809 passando in proprietà alla famiglia Marsico di Campitelli che, in segno di patronato, vi fece aprire un palchetto da cui assisteva alle funzioni religiose. Del Convento restano oggi solo i muri perimetrali che danno, comunque, una idea piuttosto precisa della sua estensione, mentre la Chiesa, a navata unica' è stata completamente recuperata all'uso pubblico per convegni, concerti, rappresentazioni teatrali e simili, a disposizione non solo del Comune di Altilia ma di tutto il comprensorio. Il presbiterio a forma quadrangolare, è delimitato da due costoloni sui quali è poggiato l'arco trionfale, formato da conci di pietra sagomati e scolpiti. "Le modanature dei conci sono tipici dell'arte francescana e rappresentano la testimonianza più importante ed espressiva per la lettura critica del monumento". Il portale d'ingresso, interamente in pietra scorniciata, probabilmente di fine '700, non è però quello originale, come si desume dalle sue tracce, ben visibili all'interno, che doveva essere ben più grande e ad arco ribassato. Il portale laterale è ad arco a tutto sesto, scanalato a più livelli e sormontato da una cornice con ricca trabeazione. La copertura è stata completamente rifatta con capriata in legno che si lega armonicamente sia alla vecchia struttura che a quella nuova in mattoni a faccia vista ben amalgamati con il colore della pietra. Sulla facciata, infine, è stato creato un rosone in pietra che ricalca lo stile delle rosette scolpite sulla base dei piedritti e che Sono una tipica espressione dell'arte locale degli scalpellini. Arte che si fa subito notare per la sua evoluzione e denota il cambiamento della cultura stessa del borgo. "Si passa da forme massicce, come quella della vecchia torre, a forme più snelle ed allungate, come il portale del convento; alla raffigurazione di stemmi, come l'aquila di Martirario nella cuspide stratificata della torre e i vari stemmi baronali su molti portali di Cosenza, dovuti rispettivamente all'annessione di Altilia alla Contea di Martirano e all'affermarsi delle Signorie".

La Chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta

La facciata principale in pietra locale, stile tardo-romanico, con stemmi, ornamento a rilievo, restauri e aggiunte dei secoli XVII e XVIII, rappresenta nei palinsesti delle diverse maestranze locali uno dei capolavori d'arte più belli della Valle del Savuto, tanto da fare scrivere ad Alfonso Frangipane che "la Chiesa parrocchiale dell'Assunta e di San Sebastiano di Altilia è una specie di palinsesto e meriterebbe da sola uno studio particolare; essa ha dei pezzi di facciata medievale; il campanile a pianta quadrilatera in parte del Rinascimento, sempre m tufo, è di maestranze locali, cui sono sovrapposti rifacimenti barocchi fino alla parte cuspidale" Il portale, fiancheggiato da intrecci, è sormontato da una cornice ogivale, anch'essa in tufo, con decorazioni e fregi ornamentali finemente modellati, dentro la quale un tempo si trovava un affresco, oggi sostituito da un mosaico a perline, raffigurante l'Assunta. L'interno è a tre navate divise da pilastri ad arcate simmetriche con basamento in tufo modellato e cornici armonicamente collegate alla volta. La navata centrale, con luminosi finestroni, artisticamente sagomati, è dotata di stalli corali in noce, intagliati nelle cornici e nei dorsali, che misurano m. 7x7x2 di altezza e terminano ai lati del presbiterio con due seggi decorati a tronetto. L'altare maggiore è ornato da due fregi laterali formanti alle estremità uno speciale capitello reggivasi.
Sulla parete centrale dell'altare giganteggia una tela ad olio raffigurante l'Assunta, opera del pittore fiammingo Guglielmo Borremans, completata, al centro dell'abside, da un affresco, opera di artisti meridionale del Settecento, raffigurante la Santissima Trinità in atto di incoronare la Vergine Assunta.
L'Arco maggiore, con base in pietra egregiamente modellata, culmina con due angeli a rilievo che reggono dei festoni in gesso. Le due navate laterali ricalcano lo stile di quella centrale; lungo la parete di sinistra si notano quattro altari in gesso decorato in sobrio barocco, sul secondo dei quali, dedicato a San Sebastiano, si trova una torre indicante la torre o il castello di Altilia; quello della parete frontale, dedicato al Santissimo Sacramento, era sormontato da una pregevole tela raffigurante Cristo in Croce con ai piedi le anime purganti, dipinto settecentesco ad olio, opera di arti sta di scuola napoletana.
Rimossa per sistemarla nella cappella del cimitero è purtroppo sparita, senza lasciare traccia alcuna. Nella navata di destra si trovano tre altari del medesimo stile, con quello centrale dedicato alla Madonna del Rosario. Su ogni altare erano un tempo presenti tele ad olio, sciaguratamente rimosse per far posto a nicchie per le statue devozionali. Appartengono alla schiera delle opere d'arte di questa Chiesa: una pregevole statua lignea dell'Immacolata intagliata a tutta figura vistosamente dipinta da artisti di scuola napoletana; il fonte battesimale il cui "coperchio di rame sbalzato con arcaiche decorazioni bulinate e croce patriarcale in alto è un vero gioiello dell'arte metallica medioevale ed ha valore documentale"; la statua di San Sebastiano, probabilmente del XV secolo ed il meraviglioso Crocifisso settecentesco. Pregevoli, infine, sono i due "confessionali in legno di noce con intarsi, a fitto lavoro, in legno più chiaro" del secolo XVIII. Si deve al caloroso interessamento profuso da Padre Anselmo Lanzillotti, parroco di Altilia dal '78 al '94, l'aver riportato la nostra chiesa alla bellezza voluta dai nostri padri.

Le Parrere

Viene denominata Parrere la una dove un tempo esistevano le cave di pietra da cui si estraevano i blocchi per ricavarne i conci per le costruzioni. Le cave oggi risultano in disuso, ma la zona merita di essere visitata per le sue selvagge bellezze naturali. Risalendo, infatti, il torrente Carito ed arrivando alla confluenza con il torrente Fiumicello, è possibile ammirare uno spettacolo meraviglioso fatto di cascate, alben secolari, vegetazione selvaggia e strette gole, penetrabili 501? attraversando il fiume a guado. Da questa zona denominata Russo, risalendo il fiume si arriva immediatamente alle Parrere, immensa parete rocciosa del colle Pecale, dove il sole si intravede appena attraverso la fitta vegetazione. Le cave di pietra un tempo erano undici ma di queste solo sette sono oggi raggiungibili. N elle diverse cave è' possibile trovare incise date, nomi ed, a volta, croci indicanti probabilmente incidenti sul lavoro che provocarono la morte di chi vi lavorava. Da quanto è dato sapere, il lavoro nelle cave era diviso tra trincari (addetti all'estrazione ed all quadratura dei conci) capimastro (rifinitori e decoratori) e mulattieri ( trasportatori del materiale già pronto per la posa in opera).
In alcune cave sono ancora ben visibili conci appena sbozzati e la data in cui in esse si lavorò. La più antica sembra essere quella della prima cava che porta incisa la data 1316(!!!)e due iniziali J. M. (Joannes Marsico?), mentre la più recente, 1954, si trova in una delle ultime cave. Nelle adiacenze è stata realizzata una zona attrezzata per l'utilizzo agro-turistico, consistente nella costruzione di un posto di ristoro in cemento armato, con copertura in travi di legno lamellare, impalcato in legno e con manto in tegole canadesi. Particolarmente curata risulta la sistemazione esterna della struttura con aiuole bordate da muretti di pietrame selezionato a facciia vista, destinati a delimitare ampi spazi per i parcheggi. Nelle vicinanze è stata creata un'altra struttura collegata per l'addestramento all'equitazione mediante la costruzione di un campo di milleottocento metri quadrati, dotato di superficie drenante. L'area è attrezzata di ricovero per cavalli e spogliatoi, capace di una ricezione sino a cento unità. L'intero complesso, che risulta essere uno dei più avanzati della regione, è provvisto di rete idrica, pozzo "Imhoff' e impianti di illuminazione.
Di particolare suggestione si presenta l'adeguamento della viabilità pedonale, che collega la struttura ricettiva con il fondo valle, provvista di piazzole di sosta con sedili in pietra e strutture di svago coli recinzione lignea. I collegamenti con le aree di campagna risultano essere molto adatti per chi volesse dedicarsi al trekking o a momenti di svago coli salutari passeggiate. Il tutto è armonizzato da un complesso quadro di compatibilità ambientale. La realizzazione di questa importante area attrezzata rappresenta certamente una tappa fondamentale per lo sviluppo del paese e dell'intera zona circostante che, con la realizzazione di altre opere in fase di studio, porterà una ricaduta economica attraverso nuovi sbocchi occupazionali.

Home